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I "Beati Paoli"

a cura di Alberto Rossignoli

Paoli

Le società che non garantiscono il rispetto dei diritti e dei doveri del singolo, nonché delle stessi leggi vigenti, come possiamo purtroppo constatare nella nostra attualità, generano (ed è sempre stato così, come lo è tuttora) un complesso di frustrazione e impotenza che può portare il cittadino, singolarmente o collettivamente, a farsi giustizia da solo con azioni fortemente punitiva e repressive, nella convinzione di colmare le lacune di detta società. Sulla base di tutto questo operarono in Sicilia i "Beati Paoli" , detti anche "Vindicosi" , sulle cui origini aleggiano, come fantasmi nella notte, dubbi, misteri, supposizioni. La prima fonte in nostro possesso risale al 1185 ed è contenuta nella Breve Cronaca di un Anonimo Monaco Cassinese; ulteriori indicazioni si hanno attraverso la Cronaca di Fossanova, opera anonima che contiene gli avvenimenti sino al 1217 (probabile anno di stesure dello scritto): viene riportato che un certo Adinolfo di Ponte Corvo, maestro della setta, fu impiccato e molti altri furono marchiati con ferri roventi; proprio grazie a queste informazioni, possiamo constatare che la setta dei "Beati Paoli" esce dalle nebbie della leggenda per divenire storia. Possiamo dunque ritenere che questa setta fosse parte integrante della storia della Sicilia del XIII secolo, o almeno degli inizio del secolo. È con Gabriele Quattromani (1835), ufficiale napoletano in servizio nelle truppe borboniche in Sicilia, che la setta entra in un contesto storico più ampio, che va oltre la storia siciliana: viene infatti collegata con la Santa Vehme germanica. Nello specifico, Quattromani riprese le antiche fonti già citate precedentemente e fece riferimento al "Voyage en Sicilie et dans la Grande Grèce" di Joseph Hermann von Riedesel del 1773; altra fonte utilizzata è l'"Histoire gènèrale di Sicile" di Jean Levesque de Burigny, nella traduzione di Mariano Scasso e Borrello (1790). Degno di nota è il fatto che il Quattromani, contrariamente agli autori citati, seppe andare al di fuori della dimensione locale e particolaristica della Sicilia, indicando una (possibile) connessione con la Santa Vehme, operante in area tedesca tra il XIII e il XVIII secolo. Per la precisione, il movimento fu fondato in Germania attorno al 1260 con lo scopo principale di far rispettare la giustizia secondo i dettami e i modelli biblici e difendeva i propri membri (per la quasi totalità appartenenti alla piccola nobiltà terriera) contro saccheggi e brigantaggio, all'epoca assai diffusi. La Santa Vehme era strutturata in base a canoni tuttora non chiari; si sa che la gerarchia era fondata su tre gradi:

  • Stuhlerren: svolgevano la funzione di presidenti dei tribunali;
  • Freisheffen: assessori e giurati;
  • Frohnboten: incaricati di applicare le sentenze dei tribunali.
  • Gli aderenti alla setta, denominati Wissenden (Sapienti), nella sola Westfalia erano stimati in circa centomila nel1330. Poco note sono le pratiche interne della setta, ma si ritiene che il suo culto si fondasse sulla Volontà attiva, sulla deificazione del sovrano e della giustizia. Nel 1371, l'imperatore Carlo IV riconobbe legalmente l'esistenza della Santa Vehme e ne ordinò l'iscrizione nel registro del codice germanico; questo continuò sino alla fine del XV secolo, quando fu abolito il codice stesso e si decretò così la fine della setta, la quale continuò comunque ad operare per un certo tempo. Una fonte autorevole circa la Santa Vehme è Goethe, il quale, nel dramma "Götz Von Berlichingen" descrive un tipico tribunale della Santa Vehme: un sotterraneo buio, malsano e angusto; descrizione, peraltro, che riprende lo stereotipo ottocentesco applicato ai ritrovi di sette e gruppi politici che operavano ai limiti (sovente oltre i limiti) della legalità. La concezione di un tribunale "alternativo" si ritrova anche in Engels, nel quale si fa riferimento a "comitati segreti", sorti contro le fabbriche e contro chi si rifiutava di aderire ad uno sciopero o a una manifestazione di protesta. Nel mistero nebbioso che avvolge la setta dei "Beati Paoli" , un aiuto viene dalla toponomastica: infatti a Palermo si può trovare una via e una piazza dedicate a questa setta. Nello specifico, ivi sarebbe sita la casa nella quale, stando ad una tradizione risalente alla fine del XVIII secolo, vi sarebbe una grotta (occultata) in cui i "Beati Paoli" si riunivano ai fini della celebrazione dei loro processi. Detta casa fu descritta nel 1790 dal marchese Francesco Mario Emanuele di Villabianca nelle "Storie letterarie tessute di varia erudizione sacra e profana spettante la gran parte alla città di Palermo e al regno di Sicilia" . Del resto, la Palermo sotterranea pullula di leggende sui "Beati Paoli": all'interno di un vasto banco di calcarenite quaternaria, si trova un complesso di siti nel quale si trovano le "camere dello scirocco" le quali, nel XVI secolo, erano usate come riparo dalla calura estiva. Ebbene, secondo la leggenda, una di queste camere, presente nel quartiere Capo e all'interno di un settore adibito a cimitero cristiano, sarebbe stata la sede del tribunale della setta.

    Certamente, non bastano una via, una piazza, e qualche leggenda per dare una precisa collocazione storica a questa setta. In base alla tradizione popolare, i "Beati Paoli" agivano in nome del popolo contro gli abusi di potere del ceto nobiliare, colmando le lacune e le mancanza della giustizia la quale, come capitava non di rado, era corrotta e agiva per conto dei potenti. Negli "Atti di giustizia" condotti a Palermo contro i criminali, si possono rinvenire due condanne a morte comminate a due esponenti della setta. La prima fu eseguita il 17 dicembre 1704 contro Giuseppe Amatore e la seconda fu eseguita il 27 aprile 1723 contro D. Gerolamo L'Ammirata. Attualmente, due sono i principali problemi che ostacolano le ricerche:

  • quanti delitti sono effettivamente attribuibili ai "Beati Paoli" ?
  • quanti dei giustiziati dai "Beati Paoli" erano effettivamente colpevoli?
  • Altro problema è il rapporto tra i "Beati Paoli" e la precedentemente citata setta dei "Vindicosi" . Non si sa se questi ultimi siano un'emanazione della prima e ne assorbì i principi o se non vi è alcun legame tra le due sette. E poi, siamo certi dei legami tra i "Beati Paoli" e la Santa Vehme? Anche i Vindicosi erano collegati alla Santa Vehme, oltre che ai Beati Paoli? Domande, per ora, senza risposta…

    Fonti:

    Massimo Centini, "Misteri d'Italia", Newton Compton Editori, Roma 2006;

    Alberto D'Arcadia, "Nuove religioni - Culti emergenti - Sette", Giovanni De Vecchi Editore, Milano 1991.

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