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L’Oscuro Luogo delle Tempeste Sterminatrici Insanguinate

a cura di Aroldo Antonio

Tuth

Sulla stele funeraria di un faraone guerriero, vissuto due secoli prima dell’esodo di Mosè, vi è “Illustrato” , il primo “Reportage Giornalistico” della Storia dell’umanità. Questa particolare “Lastra Funeraria” , infatti, ci fornisce un’analisi molto accurata del primo massacro di “Har-Magiddo”: “La Montagna di Megiddo” . La “Bibbia” , però, quel particolare luogo, lo chiama in un differente modo: “Armageddon” . Questo determinato termine, grazie alle “Sacre Scritture” , è diventato per tutti, sinonimo di “Olocausto Universale” . In tale luogo, infatti, sarà ambientata, secondo sempre la Bibbia, la “Grande Battaglia Finale” tra il “Bene” e il “Male” ; si narra, infatti, che, alla “Fine dei Tempi” , ci sarà quest’ “Immane Scontro” dove pioveranno lingue di fuoco dal cielo e che in quella occasione “Tutti i Re vi si concentreranno per darsi Battaglia e Affrontarsi nello Scontro Finale” ; in sostanza, quindi, il “Giorno del Giudizio Universale” : momento in cui tutti i “Regnanti” del mondo, appunto, non faranno altro che lasciarsi, dietro di loro, un panorama di devastazione e di “Morte Perpetua” . Proprio in questo particolare luogo il 15 maggio 1479 “A. C.”, ci fu, com’è stato posto in risalto dalla suddetta colonna sepolcrale, un’ “Infernale Battaglia Campale” . In tale sanguinosa lotta si scontrarono il “Re di Kadesh” , sovrano della Siria e il Faraone Thutmosis III, soprannominato il “Napoleone d’Egitto” . Megiddo Secoli prima di tale scontro, le truppe egiziane avevano invaso il territorio di Canan imponendo il “Giogo Oppressivo” della religione egiziana. In tal modo i siriani, per intere generazioni, erano stati costretti a subire condizioni di abietta schiavitù sotto il pugno di ferro di spietati faraoni. Tutto ciò però, se la strategia del Re di Kadesh avesse funzionato sarebbe presto terminato. Quest’ultimo, infatti era fiducioso d’“Appropriarsi della Giornata” . Egli, infatti, aveva migliaia di uomini e centinaia di carri da guerra ed era convinto di poter costringere il suo acerrimo nemico a tornarsene in Egitto con la coda tra le gambe. Il monarca siriano aveva provveduto a bloccare le due vie d’accesso alla sua capitale. L’unica strada libera rimasta, infatti, passava, necessariamente, attraverso una specie di “Gran Kenion” stretto e lungo come un grande imbuto ossia ottimo per le imboscate. In tal modo, Thutmosis III, dovendo evitare a ogni costo quella via, avrebbe dovuto, (secondo il piano del nemico), intraprendere obbligatoriamente una delle due vie controllate dall’esercito siriano. In questa maniera il faraone si sarebbe trovato tagliato fuori dal grosso del suo esercito. L’antagonista siriano però si sarebbe ben presto reso conto di aver fatto “i conti senza l’Oste” e che in guerra non esiste nulla che possa essere definito un “Piano perfetto” . Il monarca egiziano, infatti, ideò un piano follemente azzardato ma che risultò efficace. Thutmosis, infatti, arrivato in prossimità della città di Megiddo, in soli dieci giorni, grazie alla grande trasferibilità del proprio esercito; fece, infine attraversare, a tutti i suoi soldati, proprio quel Kenion, (che proprio perché considerato non attraversabile), era rimasto sguarnito e pose il suo esercito nella piana adiacente alla collina dove si ergeva maestosa la biblica città. Gli abitanti dei villaggi limitrofi, nel frattempo, avevano avvertito il re di Kadesh che, si stava avvicinando dal deserto, una grande nuvola di sabbia. Ciò non poteva indicare altro che l’approssimarsi dell’esercito avversario. Al che il sovrano siriano, volendo sincerarsi della cosa, mandò un gruppo d’esploratori per controllare la zona. Le pattuglie tornarono con una risposta che sembrava certa e senza ombra di dubbio. In quella zona c’era, in effetti, del grosso movimento basandosi su tali informazioni, il monarca siriano, attuò prontamente il piano che abbiamo già esaminato cadendo in tal modo nella trappola tesagli dal faraone Thutmosis, infatti, aveva messo in atto un brillante stratagemma: aveva ordinato a due contingenti di avanzare lungo le strade principali e di sollevare una grande nuvola di sabbia e polvere trascinando fasci di sterpaglie dietro ai carri da guerra ingannando così le sentinelle nemiche.

“Il dono più grande a cui l’uomo possa aspirare è la conoscenza del Divino. Intorno al quale tutte le altre doti umane impallidiscono.”

Era questa la profonda filosofia degli antichi egizi. La più potente divinità egiziana, Iside, secondo la religione del territorio del Nilo, aveva creato tutte le cose e dominava sulle forze della natura e sugli albori della natura. La superba Sfinge, invece, minacciosamente accovacciata davanti al tempio, era il guardiano del Credo egiziano. Rommel A quei tempi, si credeva che i faraoni fossero stati spinti dagli dei ad attraversare il Mar Rosso per poter convertire alla “vera Religione” tutte le tribù pagane del Mediterraneo. In realtà la reale intenzione dei comandanti d’Egitto era di appropriarsi dei territori della “Mezzaluna Fertile” . Controllare queste importanti arterie commerciali voleva dunque dire avere gran parte dell’Asia Minore in pugno. Non per nulla Ahmose I, fondatore della XVIII dinastia aveva formato un potente esercito composto da soldati di professione in cui i vari reparti avevano compiti ben precisi: la fanteria era armata con diversi tipi di scudi e lance ed era coadiuvata da reparti di arcieri. Tuttavia, l’arma più importante dell’esercito faraonico era la “Mobilità” . Patton I suoi carri da guerra infatti, si lanciarono all’attacco come moderne divisioni corazzate puntando direttamente al cuore delle difese nemiche proprio come avrebbero fatto tremila anni dopo sia il generale Patton che il generale Rommel. I faraoni Ahmose I, Amenhotep I e Thutmosis I, avrebbero esteso la dominazione egiziana fino alla Siria e al territorio del Tigri e dell’Eufrate grazie a tale strategia. Durante le invasioni perpetrate da questi faraoni, furono devastate intere regioni e i prigionieri massacrati, le città bruciate e intere tribù rese schiave. Il 15 maggio 1479 A. C. il Re della Siria si decise ribellarsi al faraone infliggendogli un colpo mortale. Thutmosis III, che fu quindi diretto erede di tutto questo immenso potere, contrattaccò con inaudita violenza. Il monarca siriano, come si è già detto, credeva di aver dato “Scacco Matto” al suo acerrimo antagonista. All’inizio della battaglia infatti, trovandosi la città di Megiddo su una collina adiacente a una piana, il sovrano siriano avrebbe potuto tranquillamente sbaragliare l’esercito egiziano. Il faraone, però,non aveva alcuna intenzione di affrontare un assedio. Ancora una volta, quindi, l’antagonista siriano era riuscito a schierarsi nella posizione più vantaggiosa. Thutmosis invece era costretto a combattere in salita.

Quest’ultimo schierò, infatti, la fanteria al centro della piana con alle spalle un centinaio di carri da guerra, che erano soltanto una piccola parte di quelli di cui poteva disporre gli altri intendeva, infatti, in una manovra diretta contro le ali nemiche. Il grosso del reparto di carri prese dunque posto a poca distanza, ma ben nascosto dalla fitta vegetazione che cresceva lungo le rive del Quina. La battaglia ebbe inizio come per tutti gli altri scontri dell’antichità, con una cerimonia e un sacrificio agli dei. Il re di Kadesh prese dunque un “Ascia Bipenne” e si accostò all’altare: una piattaforma di legno eretta in mezzo al campo di battaglia. Vi era legato un ariete. Il monarca siriano sollevò, quindi l’arma sacrificale bene in alto affinché tutte le migliaia di guerrieri potessero vedere la lama luccicante prima che si abbattesse sulla vittima; poi con un solo colpo uccise l’animale e immerse la scure nel sangue che sgorgava abbondante dalla ferita. Egli infine brandì l’arma e iniziò a cantare. Da un capo all’altro dello schieramento i sui guerrieri si unirono al coro di morte. Forse ci fu qualche ovazione di gioia ma il grosso dell’esercito sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a sconfiggere il suo antagonista. Poi tutto tacque e per un po’ non accadde nulla. I due contendenti si esaminarono a vicenda in attesa che la sanguinosa partita cominciasse. Il faraone però, aveva dato precise istruzioni ai suoi uomini perché dessero ai loro mortali antagonisti l’illusione del vantaggio del primo attacco. Entrambi gli schieramenti, infatti, si misero ad aspettare che l’altro attaccasse per prima. Gli egiziani, però, non si abbassarono a dare soddisfazione al nemico seguendo così gli ordini del loro acuto comandante. Il faraone aveva capito, infatti, che una battaglia, prima di essere combattuta materialmente sul campo deve essere guerreggiata psicologicamente. Thutmosis, infatti, si rifiutava di dare l’ordine d’attacco. Egli voleva che l’attesa si trasformasse in una guerra di nervi, una guerra in cui poteva contare sulla disciplina dei suoi uomini e sull’efficienza dei portatori d’acqua, i quali colmando gli otri grazie alle acque del Quina, non avrebbero mai lasciato i “Figli d’Egitto” assetati. Intanto un gruppo di avvoltoi si mise a volteggiare nell’aria in attesa che il campo di scontro si tingesse di rosso per cibarsi delle carcasse delle vittime di quella mortale giornata. Tra le file dei guerrieri di Kadesh quelli armati pesantemente erano i rampolli della nobiltà Cananea. Quest’ultimi credevano che fosse loro dovere dimostrare il proprio coraggio facendosi avanti, con il rischio di essere tagliati a pezzi prima ancora che lo scontro vero e proprio cominciasse. Il re di Kadesh voleva essere certo che questo non avvenisse, ma si mosse troppo tardi. Alcuni giovani impazienti del suo schieramento, stanchi per la lunga attesa che metteva a dura prova la fermezza del loro carattere ruppero lo spiegamento e si fecero avanti per impegnarsi in combattimenti individuali. I loro scudieri, gli arcieri e i loro servi dovettero, necessariamente, seguire i propri padroni seppure con una scarsa convinzione. Essi davano, infatti, una chiara immagine di ciò che erano in realtà: “una Torma Indisciplinata” . Altri combattimenti sporadici scoppiarono non appena altri nobili cananei seguirono i propri fratelli che stavano già combattendo. Queste dimostrazioni d’avventatezza e di chiara e stolta indisciplina portarono a una pericolosa avanzata dei guerrieri cananei, che costrinse il sovrano siriano, ad agire altrimenti la prima linea sarebbe disintegrata. “I corni da guerra siriani” , allora, dovettero suonare l’”inizio ufficiale” della battaglia. Abbandonando la loro favorevole posizione, i cananei marciarono nella piana, dove uomini, armi e possenti carri da guerra scintillavano sotto i raggi cuocenti del sole, ma quello che avrebbe dovuto essere un serrato fronte d’attacco divenne una linea sinuosa e serpeggiante. Il faraone Thutmosis che dall’alto del suo carro da guerra osservava l’avanzata nemica individuò il varco che si stava aprendo con sempre maggior ampiezza nella formazione cananea e immediatamente ne approfittò. Un suono simile ad un lungo gemito riecheggiò nella piana e sulla collina, e il suolo iniziò a rimbombare mentre migliaia di guerrieri egiziani si lanciavano all’attacco. Il rombo divenne più forte quando schiere di uomini urlanti si gettarono nella sanguinaria mischia. Le enormi masse umane dilagarono sul campo di battaglia. Le punte di bronzo delle lance brillavano minacciose nella luce dorata. Le ondate acquistarono velocità abbattendo tutto quello che incontravano sulla propria strada, e infine furono gli uni alla gola degli altri. L’intero campo di battagli era sconvolto da una furia cieca, uno schieramento si spingeva avanti mentre l’avversario indietreggiava e i corpi erano sommersi dalla marea umana. L’onda di Cananei si precipitò sulla fronte egiziano calpestando cadaveri, mentre le loro voci si accavallavano in un coro lamentoso e disumano. Un arbusto secco prese fuoco; subito le fiamme si propagarono al vicino bosco aggiungendo calore e fumo alle insopportabili condizioni belliche. La carneficina, nonostante tutto, proseguì senza sosta. Alcuni cadevano con orribili ferite, altri barcollavano sanguinanti; c’era, però, anche chi stramazzava al suolo per semplice sfinimento o perché aveva gli occhi accecati grondante sudore causato dall’infernale calore e dall’intenso fumo. In sostanza, quindi, gli uomini crollavano perché non riuscivano a immagazzinare abbastanza ossigeno nei polmoni per respirare; e coloro che erano, in un modo o nell’altro, mortalmente esclusi dal combattimento, furono travolti, trafitti o calpestati e si ammucchiavano gli uni su gli altri come la neve sulle montagne d’inverno quando c’è un’immane tormenta. Il caos regnava ovunque; i guerrieri gemevano, imprecavano e pregavano tutti gli dei da loro conosciuti. In mezzo a loro torreggiava il re di Kadesh, che nel frattempo, era intento ad incitare i suoi soldati a combattere. Essi, però, erano terribilmente indisciplinati da renderli, necessariamente, vulnerabili. Il monarca siriano, infatti, sapeva, benissimo, che se la confusione fosse durata troppo a lungo, gli egiziani si sarebbero gettati, come lupi famelici, sulle inermi ali del suo esercito e in tal caso, c’era la concreta possibilità, che i suoi uomini, vista la situazione, avrebbero scelto di fuggire, lasciandosi, prendere dal panico più completo. E se mai, questo fosse accaduto realmente, il monarca siriano avrebbe perso la battaglia; lasciandosi, in tal modo scappare, il potere sull’intera regione di Canaan oltre alla città di Megiddo. Intanto, però, tutto sembrava andare a favore dei siriani. Gli uomini dell’esercito ribelle, infatti, erano in vantaggio. Quest’ultimi, effettivamente, si facevano avanti come demoni urlanti, pronti a lanciarsi nella mischia. In quel enorme e infernale carnaio non c’era posto per la compassione: non era nemmeno contemplata. Le lance penetravano nelle viscere umane, le daghe mozzavano le teste dei nemici come se fossero state ceppi di legna da ardere. Gli uomini di Canaan, quindi, sentivano di poter assaporare già la vittoria. Poi, dalla boscaglia, giunse un pericoloso segnale: uno stormo d’uccelli, inaspettatamente, s’era alzato in volo. Pochi istanti dopo le ruote falcate dei carri egiziani fecero tremare il suolo di quella terra appena inondato dal sangue caldo dei guerrieri già morti in quella funesta giornata. Le feroci macchine da combattimento, uscendo dal loro nascondiglio, da entrambi i lati, della folta vegetazione e da li s’abbatterono contro l’esercito nemico come la “Tempesta sterminatrice” . I cananei non avrebbero saputo dire, in realtà, quanti fossero gli infernali mezzi egiziani che fecero strage di loro. Queste centinaia, forse migliaia di mostruosi e potentissimi veicoli da guerra correvano a folle velocità attraverso la “Terra di Nessuno” . A breve distanza, dal luogo dello scontro, queste formidabili armi del passato, si divisero in due gruppi che puntarono verso le ali dell’esercito antagonista, mentre gli arcieri che erano a bordo, scagliavano un “Micidiale Nugolo di Frecce” direttamente contro il retro dello schieramento cananeo. Ma anche gli egiziani subirono gravi perdite. Molti cavalli, infatti, caddero sulle ginocchia trafitti dalle lance nemiche e i carri volarono in aria, spezzando il collo a chi era a bordo. Ad altri veicoli, invece, cedettero gli assi all’improvviso e catapultarono via gli equipaggi e facendogli a pezzi. I cananei, essendosi spostati lateralmente per evitare i carri egiziani, lasciarono il centro del proprio schieramento indifeso. Il combattimento continuò con un altro improvviso getto di carri e un’altra fitta pioggia di frecce che andarono a colpire l’esercito siriano, andando a ferire e a schiacciare mortalmente, grazie alle pesanti ruote rivestite di bronzo, gli uomini dell’esercito di Kadesh. Il sovrano siriano, dal canto suo, puntava lo sguardo oltre il campo di battaglia, verso una piccola altura da dove, il faraone egiziano, indossando il suo elmo dorato, (baciato dal sole di quella infuocata giornata), dal suo luccicante carro di elettro guardava morire i suoi nemici; quasi come se fosse stato, l’ “Angelo della Morte” .

Ramses

Il loro sangue avrebbe concimato il terreno, cosicché l’erba sarebbe cresciuta più verde e rigogliosa in quella fertile piana. Lo scontro si trasformò in un indecifrabile agglomerato di forme e di colori esaminabile, soltanto, con il “Sovrannaturale Sguardo” degli antichi dei. I lancinanti rumori di quella campale giornata si fecero sempre più fragorosi; l’intero campo di battaglia, sembrava essere diventato un enorme mostro divoratore d’uomini. Dalla boscaglia, nel frattempo, continuavano a sbucare carri egiziani, seguiti a poca distanza, da migliaia di fanti con elmi a punta. Sopra di loro ondeggiava un mare di stendardi. Qui e li, intanto, gruppi di cananei cercavano, inutilmente, di contrastare l’attacco egiziano. Il monarca siriano, appena vide ciò che stava succedendo, alzò il braccio con la spada in pugno per riuscire a raccogliere i pochissimi uomini che gli erano rimasti. All’improvviso, però, un reparto di egiziani, armati con lance e spade di bronzo, attaccò i superstiti dell’esercito antagonista. Gli egiziani poterono, in tal modo, avanzare indisturbati mentre i cananei rimasti si diedero alla fuga. Thutmosis, infine, lanciò un ultimo tremendo attacco con le “Truppe di Riserva”. Il monarca egiziano stesso si mise alla testa di quest’ultime. Le ruote falcate di quest’ultima “Divisione” , costituita da più di trecento carri, penetrò nel varco che si era creato tra le schiere siriane e la fortezza nemica che si ergeva sulla collina. La “Possente Macchina da Guerra Egiziana” si lanciò, come un “Fulmine Sanguinario” , attraverso il campo di battaglia. Nulla avrebbe potuto fermare l’avanzata di centinaia da combattimento trainati da cavalli ben protetti. I mortali veicoli di Thutmosis travolsero i nemici impotenti come un’ “Onda s’Abbatte sulla Riva” . I cananei, quindi, erano in “Rotta” su tutto l’alto piano e i varchi, tra le file dello dispiegamento siriano, diventarono sempre più ampi sotto l’impatto delle ruote egiziane. Le truppe siriane, infatti, non poterono fare, assolutamente, nulla contro quei bolidi che correvano all’impazzata. I guerrieri cananei, effettivamente, furono tutti travolti e ben presto mucchi di cadaveri invasero l’intera piana. In quegli ultimi istanti, migliaia e migliaia di uomini pagarono con la vita aver osato sfidare la potenza dell’impero egiziano e il “Genio Militare” di Thutmosis. Il monarca egiziano lasciava, dietro di se, un “Enorme Mattatoio Umano” straripante di una sterminata congerie di carcasse informi: ottimo cibo per gli avvoltoi. I pochissimi che riuscirono, miracolosamente, a salvarsi, da quella “Furibonda Mattanza” , scapparono oltre le mura della città. Tra i sopravvissuti c’era anche il monarca siriano, che ebbe modo, d’osservare l’ “Orribile Carnaio” , mentre gli “Avidi Rapaci del Deserto” , si cibavano delle membra dei suoi uomini. L’amarezza del monarca ribelle era smisurata. L’illimitata tristezza del sovrano siriano, in passato, scompariva uccidendo gli uomini che aveva preventivato d’eliminare, ma non questa volta. Quanto malediceva se stesso perché, accecati dall’infuriare della battaglia, non si era reso conto della presenza dei carri da guerra egiziani nascosti nella vegetazione pronti a entrare in azione. E infatti, proprio quando pensava d’aver vinto, Thutmosis aveva frustato i suoi tre stalloni bianchi e, “come il Dio Horus Armato di Artigli Assetati di Sangue” , aveva travolto quanto restava dei migliori guerrieri della Siria; i quali fuggivano terrorizzati, come se fossero stati inseguiti, dagli “Spiriti Maligni” . Gli egiziani furono colti di sorpresa dalla facilità con cui avevano vinto che, invece d’irrompere nella fortezza ormai sguarnita, arrestarono la propria avanzata vittoriosa per uccidere i feriti e spogliarli d’armi e gioielli. Proprio questo desiderio di bottino, (da parte degli egiziani), salvò la vita a qualche siriano e a dare al nobile siriano ribelle la vaga speranza d’organizzare una forma di difesa della città. La storia della battaglia di Megiddo, narrata sulla stele funeraria del tempio di Amon a Tebe, s’interrompe qui. I geroglifici, infatti, non aggiungono altri particolari circa la durata dell’assedio; forse i difensori della città sopravvissero perché a un certo punto il faraone si stancò di continuare l’accerchiamento di Megiddo. Un’altra lastra sepolcrale, invece, ci racconta che, il bottino di quella feroce e orrenda giornata, fu di 2000 cavalli e 9000 carri da combattimento. Il monarca egiziano, dopo questa schiacciante vittoria, pacificò, con le armi, tutti i regni ribelli; i loro legittimi sovrani giustiziati e sostituiti con nobili fedeli al faraone, nelle vesti di “Vice Re” . Thutmosis, subito dopo la fenomenale conquista di Megiddo, attaccò la cittadella di Kadesh, situata sulla riva sinistra del fiume Oronte, (non lontano da Homs), poi sconfisse agli “Arii” , invasori del fertile territorio della “Grande Ansa dell’Eufrate” , distruggendo Aleppo. Thutmosis, infine, tornò a Tebe. Il faraone, avendo “Sotto Scacco” tutti i territori orientali,volle anche il controllo del mediterraneo; per riuscire a ottenere ciò, costruì una grande flotta di navi da guerra. Questo tipo d’armata navale era capace di padroneggiare e di regolare, sia la fascia costiera, sia le rotte commerciali del mediterraneo. Il grande monarca egiziano, quindi, divenne, in poco tempo, il “Padrone Incontrastato di un Immenso Impero” ; cosi vasto, che persino dalle lontane terre dei babilonesi e degli ittiti, gli furono inviati ambasciatori carichi di preziosi doni. Quando Thutmosis III morì, nel 1447 a. c., il suo regno era al massimo dello splendore. Nel 1288 a. c., un altro faraone, “Ramses II” , si mise sulla strada di Megiddo per sconfiggere, questa volta, il re ittita Muwatallis. Gli ittiti, infatti, avevano invaso la Siria. Ramses, dal canto suo, radunò un esercito che non era altro che una pallida imitazione di quello costituito da Thutmosis III. SaladinoL’esercito di Ramses era suddiviso in quattro grosse divisioni. Le prime due si chiamavano, “Amon” e “Ra” . Le altre, invece, erano intitolate: “Naarun” e “Ptah” . Alla testa della divisione Amon, Ramses attraversò l’Oronte a nord di Shabtuna; circa otto miglia a sud di Kadesh. Il re Muwatallis, però, aveva teso una trappola a Ramses. Il monarca ittita, infatti, mandò, al faraone, due “Falsi Disertori” per informarlo della posizione delle truppe ittite. I due defezionasti, infatti, dissero che Muwatallis era accampato a nord della città di Kadesh. L’esercito ittita, invece, attendeva il proprio antagonista sulle rive dell’Oronte. Il contingente Ra, infatti, cercando d’attraversarlo, fu messo in fuga da un nutrito reparto di carri da guerra. Diciassette mila soldati ittiti inseguirono, infine, gli egiziani fin nell’accampamento del faraone e s’impadronirono di tutto ciò che trovarono persino le donne abbandonate a se stesse dalla vigliaccheria dei loro mariti. Gli ittiti, imprudentemente però, lasciarono che l’attenzione per il bottino e l’ozio, gli sopraffacesse. Una compagnia d’èlite, nel frattempo però, composta da mercenari a soldo del faraone, irruppe contro gli uomini di Muwatallis prendendogli alle spalle. Il feroce antagonista, allora, ancora una volta, si rifugiò nella cittadella fortificata di Kadesh. Tuttavia la seconda battaglia di Megiddo fu l’ultimo scontro militare vinto dall’impero egiziano che si avviava verso un destino di declino.

Impatto

La piana di Megiddo è stato, però, lo “Scenario Ideale” per molte altre guerre e battaglie. Tale luogo, infatti, nel medioevo, fu, per esempio, la sede dei “Crociati” che combatterono il “Feroce Saladino” ; per far ciò, costruirono, sulle rovine della biblica città, la fortezza di Faba. Saladino, dopo quel furibondo scontro, s’impadronì del sito. La roccaforte, però, sarebbe passata di mano parecchie volte. Il 16 aprile 1799, infatti, fu li che il generale francese Klebler condusse i suoi 1500 soldati contro i 25000 turchi di Achmed Pasha, detto “Il Macellaio” . Quando Klebler fu circondato, soltanto un attacco sferrato dai 600 uomini, guidati dal giovane Napoleone Bonaparte, respinse i turchi al di là del Fiume Giordano. Il 21 settembre 1918, invece, in questo stesso punto, Lord Allenby, con un “Corpo di Spedizione Britannico” , sconfisse due armate turche: la settima chiamata “Kemal” e l’ottava intitolata “Jerad” . La valle di Megiddo, nel corso del tempo poi, (è necessario affermarlo), è stata l’epicentro di moltissime sommosse politiche e religiose. Tuttavia, però, com’è stato già evidenziato in precedenza, la prima battaglia fu combattuta per motivi strettamente economici; e forse, anche tutte le altre, infondo, hanno avuto le medesime motivazioni. A giorno d’oggi, i dominatori della scena politica mondiale, sono, certamente, ben diversi da quelli del passato. Quest’ultimi, avranno sicuramente, molti più mezzi e molte più armi tecnologicamente avanzate, ma di certo, non hanno e forse non avranno mai, quella “Supremazia Psicologica” e quella “Levatura Morale” , proprie dei “Capi di Stato” e dei comandanti di una volta. Speriamo che, con i nostri “Governanti Attuali” , non succeda nulla d’ “Irreparabile” ; proprio com’è descritto nelle “Sacre Scritture” .

Fonti:

“Eroi per Forza” = Capitolo Primo = “Un Luogo Chiamato Armageddon” = Parte Prima = Dies Irae di Erik Durschmied

“Nuovo Testamento” = Libro dell’Apocalisse = capitolo 16, versetto 16

Anticristo
La fine del Mondo
Arca Perduta
Eldorado
Fatima
I disegni di Nazca
La fontana Angelica
Il Diluvio Universale
Il Sacro Graal
Coral Castle
Il mito di Hiram
Tempio di
Gerusalemme

Macchu Picchu
Ooparts
Teotihucan
Il Mistero dei Templari
La maschera di Ferro
I due presidenti
Il Mistero di Amityville
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