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Luci e ombre della cultura afroamericana

a cura di Aroldo Antonio

Il vudù, parola che in dialetto africano significa dio, è una religione sincretica nata durante il periodo del colonialismo dalla mescolanza delle credenze spiritiche e animistiche delle popolazioni di colore (Malgasci, Bantu, Dahomey, Mandinghi) deportate in America. Questo credo, che ospita tutti gli dei delle religioni africane, è attualmente praticato ad Haiti e Cuba, in Brasile, nelle Antille e persino in parte degli USA, con il nome di hoodoo, presso le comunità nere della Florida e della Louisiana. Si tratta di una religione magica. I suoi sacerdoti si chiamano hungan se stregoni bianchi, bokor se neri. Costoro possono invocare indifferentemente gli spiriti rada, divinità benefiche del focolare, ed i petrò, le anime demoniache. Queste ultime sono però difficilmente controllabili, e la loro evocazione è praticata in genere solamente dai maghi neri particolarmente abili. Questi stregoni satanisti hanno avuto, durante la dittatura della famiglia Duvalier (Papà e Baby Doc), una funzione politica fondamentale. I Duvalier, difatti, utilizzavano la magia nera (o quanto meno, il terrore che essa incuteva) per sottomettere la superstiziosa popolazione di Port-Au-Prince. La magia nera sarebbe servita poi per scacciare dall'isola sia Baby Doc sia i marines americani mandati dalle Nazioni Unite dopo il colpo di stato. La più temibile stregoneria, sulla quale si basa il prestigio ed il potere illimitato dei bokorsulla popolazione locale, è l'oscuro e segretissimo rito del mandamorti, meglio conosciuto come la resurrezione di uno zombi. Tutti sanno, grazie alle fantasiose e romanzate pellicole horror di George Romero, cosa sia uno zombi, il morto vivente resuscitato per magia e costretto ad obbedire per sempre al suo mago-padrone. La resurrezione dello zombi è praticata solo da quei bokor che conoscono le giuste preghiere rituali ed hanno l'animo saldo quanto basta. Per poter resuscitare un morto, difatti, è indispensabile recarsi di notte in un cimitero ed evocare, davanti alla lapide, un demonio. Proprio quest'ultimo fornisce l'energia che permette al corpo morto di tornare in vita. Ma per poter comandare lo zombi, lo stregone deve possederne l'anima, che viene evocata, catturata ed imprigionata dentro un vaso, una specie di lampada di Aladino il cui possesso permette al bokor di annullare la volontà del resuscitato. Si invoca allora Baron Samedi, il signore dei cimiteri custode delle anime, e lo si addormenta con la formula creola Do' mi pa fumé, Baron Samedi, Dormite bene Baron Samedi. Non appena il signore dei cimiteri abbassa la guardia, il bokor può sottrargli l'anima dello zombi, chiamandola a sé con la frase Mortoo tomboo miyi, Morto, dalla tomba, a me!

A questo punto il cadavere viene disseppellito e resuscitato. Privo della propria anima, e quindi di volontà, lo zombi, mosso dal demonio, è ora pronto ad eseguire, su ordinazione, qualsiasi azione, anche la più efferata. La moderna cinematografia ha inventato moltissimi dettagli finti sugli zombi (si dice, ad esempio, che mangino solo carne umana e che muoiano soltanto se colpiti alla testa); l'unico resoconto fedele alle credenze haitiane è quello dello scrittore William Seabrook, un esploratore che negli anni Venti visse ad Haiti e ne fu in parte introdotto ai misteri. Seabrook, nel volume L'isola magica (1929), racconta: "La luna piena saliva lentamente nel cielo, sbiancando le colline e le piantagioni di cotone, ed io me ne stavo seduto davanti alla porta di casa con Costantino. Polinice, un fittavolo haitiano, a parlare di demoni, licantropi e vampiri. Il discorso cadde sugli zombi. Avevo sentito dire che lo zombi è un corpo privo di anima, clinicamente morto, che riacquista magicamente un'apparenza di vita puramente meccanica; un cadavere che agisce, si muove, cammina come se fosse vivo, grazie alle arti di uno stregone. Questi sceglie un cadavere sepolto di fresco che nonabbia ancora avuto il tempo di decomporsi e lo sottopone ad una specie di galvanizzazione. Poi lo asservisce sia per fargli commettere qualche delitto, sia per affidargli, come capita più sovente, lavori agricoli o domestici pesanti. Non appena il morto accenna a rilassarsi, questi lo bastona come una bestia da soma. Quando ne parlai a Polinice, il mio scettico amico mi rispose: 'Creda a me, non si tratta di una superstizione. Fa parte purtroppo dei nostri usi e costumi. Sono cose vere ad un punto che voi bianchi non sospettate neppure. Lei non si è mai chiesto perché i contadini più poveri seppelliscono i loro morti sotto massicce torri di muratura? Che altro motivo vuole che ci sia se non quello di difendere i propri morti?". Seabrook prosegue citando il caso di "un vecchio negro, tale Ti-Joseph du Colombier, che un bel mattino arrivò davanti ai campi di Hasco seguito da una banda di nove straccioni dall'espressione inebetita, che avanzavano con passo strascicato. Ti-Joseph li mise tutti in fila e quelli lo lasciarono fare, restandosene con lo sguardo fisso e vuoto". Dopodiché Ti-Joseph mise gli zombi al lavoro nei campi. Quegli strani esseri, tenuti lontani dalla curiosità dei passanti, lavoravano molte ore al giorno, sotto il sole; non parlavano, non mostravano alcuna emozione e si limitavano a zappare la terra. Dormivano pochissimo e mangiavano soltanto banane bollite e scondite. Questa insolita forma di sfruttamento andò avanti molto a lungo sin che, un giorno, mentre Ti-Joseph era assente, una venditrice di pistacchi salati incontrò gli zombi ed offrì loro un po' di cibo. Ora, secondo le tradizioni haitiane, i morti viventi possono mangiare di tutto, fuorché carne e cibo salato, pena la rottura dell'incantesimo che li mantiene in vita. "Bastò che gli zombi avvertissero il gusto del sale - prosegue Seabrook - perché si rendessero conto di essere morti. Con urla spaventose corsero verso il cimitero. Appena vi giunsero si misero a correre in mezzo alle tombe. Ciascuno, trovata la sua, si diede subito a raspare alacremente le pietre e la terra per potervi entrare. Al primo contatto con i loro sepolcri, vi caddero di peso, già carogne in putrefazione...". L'episodio più impressionante citato da Seabrook come autentico è, però, il suo faccia a faccia con uno zombi. "Un pomeriggio, alla luce del sole, io e Polinice percorrevamo il sentiero che porta a Picmy. Rallentando all'improvviso l'andatura del suo cavallo, Polinice mi indicò, sul fianco della montagna, a un centinaio di metri da noi, una terrazza pietrosa ove tre uomini e una donna stavano vangando la terra in mezzo a piante di cotone. La prima impressione sugli zombi fu strana; certo non appartenevano all'ordine naturale delle cose. Lavoravano come bruti, come automi. Polinice toccò la spalla di uno zombi e questi girò docilmente il viso. Quel che vidi, benché fossi preparato, mi colpì profondamente e ne provai un senso di nausea. Non crediate che fossi sotto l'effetto di una suggestione, erano davvero gli occhi di un morto, non di un cieco. Erano fissi, spenti, privi di sguardo. Tanto bastava per rendere orrendo il volto, profondamente vuoto, come se dentro non avesse nulla. Non è sufficiente dire che era senza espressione...In seguito mi convinsi che quegli zombi non dovevano essere altro che dei mentecatti, degli idioti cronici sfruttati per il lavoro nei campi. Era una spiegazione razionale. Ma la storia non doveva concludersi qui. Giorni dopo mi trovai a parlarne con il dottor Antoine Villiers, uno spirito scientifico ferreo e pragmatico, che mi disse: 'Non credo affatto che sia possibile resuscitare i morti. Non credo alla resurrezione di Lazzaro e nemmeno a quella di Cristo. Tuttavia, non sono sicuro che nella questione degli zombi non ci sia sotto qualcosa di orribile. Penso sia il caso di parlare di stregoneria criminale'. E così facendo mi mostrò una pagina del codice penale di Haiti che diceva: Articolo 249. Sarà imputato di omicidio chiunque somministri al suo prossimo sostanze che, senza essere letali, siano suscettibili di provocare un sonno letargico più o meno lungo. Chi poi seppellisca la persona che abbia assorbito tale sostanza, verrà imputato di omicidio..."

La magia dei Bokor è forse il segreto degli zombi è proprio nella somministrazione di "sostanze capaci di causare un sonno letargico". L'antropologo americano Wade Davis, autore del libro Il serpente e l'arcobaleno (da cui è stato tratto anche un film), sostiene di avere scoperto il trucco utilizzato dai bokor per trasformare gli esseri umani in zombi. Questi spruzzano nelle narici delle loro vittime, ben vive, una polvere giallastra capace apparentemente di causare una morte istantanea. Questa polvere, che Davis ha fatto analizzare da una società farmaceutica statunitense, contiene tetrodotossina, un veleno che si estrae dal pesce palla haitiano, capace di paralizzare i centri nervosi. A questa droga i bokor mescolano sostanze tanto inutili quanto folkloristiche, come terra di cimitero e polvere di penne di gallo nero, giusto per creare un po' di scena. Quindi la spruzzano contro la vittima. Questa cade in catalessi e, data per morta, viene sepolta. E, terrorizzata, assiste cosciente al proprio funerale e alla propria inumazione, senza potersi muovere! Proprio quest'ultima traumatica esperienza, unita ad una buona dose di superstizione, distrugge la lucidità mentale della vittima, che finisce con il perdere la ragione, cadendo in uno stato di autismo perenne e continuato. Quando la notte stessa il bokor disseppellisce il malcapitato e lo rianima somministrandogli un antidoto la cui ricetta non è stata ancora scoperta, questi, ormai muto e semideficiente, si crede effettivamente un morto risorto. E si rassegna a questa nuova esistenza di schiavitù e lavoro. Negli anni Settanta la televisione francese riuscì addirittura ad intervistare un ex-zombi che era riuscito a riconquistare sia la libertà che parte della ragione (il che si verifica assai raramente). L'uomo, un certo Narcisse Clovis, viveva comunque in una clinica psichiatrica, non avendo smaltito del tutto gli effetti deleteri della droga dei bokor. Sebbene la medicina occidentale sia riuscita a spiegare in parte il segreto della trasformazione in zombi, Davis ha dichiarato, nel 1987: "La polvere zombi ed il suo ingrediente attivo, al tetrodotossina, sono oggetto di studi negli Stati Uniti ed in Europa; pure, la dinamica con cui la polvere agisce rimane un mistero...".

In ogni periodo storico, c'è la presenza di storie sui morti viventi, i cosiddetti "zombi" . Sulla reale presenza o no di questo fenomeno, ci sono più studiosi che hanno provato a dare una spiegazione scientifica di questa possibile situazione di "vita" biologica. In più, la cinematografia, non da meno, ha per anni ricamato sulle condizioni che avrebbero potuto indurre questo stato di "morte-non morte" , in cui i soggetti avrebbero dovuto trovarsi. È possibile essere "zombizzati" o è solo una mera fantasia?Per tracciare una linea di studio sul fenomeno bisogna risalire il tempo nei secoli: Torniamo indietro nel tempo, sino alla scoperta, da parte di Cristoforo Colombo, dell'isola di Haiti nel 1492; ed alla successiva, circa due secoli dopo, colonizzazione da parte dei coloni francesi, con importazione di schiavi neri dall'Africa per le piantagioni di cotone. La zombizzazione è legata fortemente alla cultura nera, ai riti voodo che essi celebrano, ed è da qui che si comincia ad indagare. I coloni erano soliti maltrattare gli schiavi con pratiche che rasentavano il barbaro! Erano, poveri loro, iniziati a vere e proprie torture, tant'è che i più coraggiosi si diedero alla fuga, andando a colonizzare le aree più ostili del territorio haitiano, creando dei veri e propri ghetti off limit per i bianchi. Proprio in questi villaggi si sarebbe sviluppato il Voodo e, di conseguenza, il processo di zombizzazione. Narra la leggenda che, intorno al 1740, uno schiavo di nome Machandal era riuscito a scappare, raggiungendo un villaggio nascosto; qui, iniziò a studiare la particolare arte del veleno. In breve, all'ecatombe di bestiame seguì quello degli oppressori bianchi. La reazione non si fece attendere e il "Mago Nero" fu catturato ed ucciso.Da questo momento ben definito, gli indigeni iniziarono a praticare il Voodo, che trovava il massimo della espansione con gli Houngan, ovvero, pseudo-sciamani che, a detta di popolo, erano in grado di praticare arti magiche, incluso il processo per rendere zombi un uomo. Studi più recenti presero in considerazione l'utilizzo di veleno, in maniera più specifica, una neuro tossina "Tetrodoxotina" (che blocca i canali del sondio, portando a necrosi la cellula nervosa) estratta dal Bufus marinus, il più velenoso rospo esistente al mondo, per il processo di zombizzazione. Ci sono due casi eclatanti di zombi che presentano rilevazioni scientifiche, operate da Wade Davies in collaborazione con uno psicologo tale dott Nathan Kline. Il primo riguardante un haitiano di circa 50anni, il quale fu ricoverato in ospedale per una febbre altissima che lo condusse a morte dopo due giorni. Diciotto anni dopo, un uomo si presentò alla sorella del defunto, affermando di essere il morto stesso! Dichiarò di essere stato zombizzato per volere del fratello in una lite violenta, di essere stato schiavizzato da quest'ultimo ed essere stato obbligato a lavorare per lui; essendo riuscito a scappare, riuscì a tornare finalmente a casa. Il secondo caso fu quello di un uomo, un latin lover del tempo, che era morto in seguito ad una malattia sconosciuta. Riapparve tre anni dopo in stato confusionale. Il minimo comune denominatore di questi casi, e di altri, è che gli zombi erano diventati così per volere di un'altra persona con cui avevano cattivi rapporti (una possibile giustificazione per essere avvelenati). Gli zombi "studiati" presentavano la clinica di soggetti in demenza, tipicamente associata a neuropatia tossica: afasia di Broca, perdita della cognitività e dello stato d'essere. Erano come lobotomizzati. Senza volontà propria, in molti casi, erano soggetti a chi li aveva ridotti così che, in genere, era la persona a cui avevano fatto torto in vita. La pratica consisteva nel commissionare il processo ad un Houngan che, preparato il veleno, lo somministrava ai soggetti, creandogli una morte apparente; successivamente alla tumulazione della salma, il mago provvedeva alla riesumazione e somministrava un forte antitodo. In più, con l'utilizzo di altre droghe, annullava la coscienza del mal capitato e lo rendeva incapace di intendere e volere! ZOMBI! Tre sono gli agenti tossici possibili in grado di alterare lo stato di vita di relazione apparente, tutti contenenti la tetrodotoxina: uno, come già detto, contenuto nel veleno del Bufus; gli altri due, derivanti dalle neurotossine di due pesci palla (prelibatezza giapponese, se saputo cucinare!). L'aggiunta di altre droghe facilitava il processo di zombizzazione ed annullava la volontà del soggetto, che diventava schiavo!In definitiva, gli zombi come ce li presenti la cinematografia sicuramente non esistono. La spiegazione scientifica è da ricercare indubbiamente nell'utilizzo di miscele di farmaci neuro-tossici, che venivano sapientemente preparati da questi profeti in aggiunta, sicuramente, alla semplicità delle credenze popolari ed alla facilità con cui si gonfiano le leggende che hanno condotto a situazioni da fantascienza. Nei secoli in seguito "il codice genetico" della tradizione culturale vudù si è tramandata fino ai giorni nostri attraverso la cultura musicale afroamericana. L'origine del rapporto tra la spiritualità afroamericana e le espressioni artistiche musicali del black people dovrebbero essere più o meno note a tutti, tale e quale a chi si trovasse all'ascolto del Messia di Haendel presupponendo la conoscenza di secoli di cristianità, l'arte appunto come elemento di rappresentazione E CELEBRAZIONE di un credo religioso. E' abbastanza evidente che se si parlasse di gospel o spirituals quale forma maggiore di espressione religioso-musicale afroamericana non ci sarebbero problemi a capirsi, certo è che qui si ha intenzione di discorrere di blues…..e di spiritualità, anzi di religione, ed il discorso si complica. Proprio perché, se gospel e spirituals sono strettamente legati alla religione cristiana ed in particolare evangelica e battista, il blues mantiene vivi degli aspetti RELIGIOSI appartenenti all'antica tradizione africana. Se si ascoltasse "When the Saints…." o qualsiasi altro spiritual non avremmo problemi a riconoscere i tratti sacri del testo, gli episodi biblici, il significato degli stessi. Diverso è spesso capire ed interpretare frasi come:

Now, I'm goin' down to Louisiana

an' get me a mojo hand

My little woman she done quit me for some other man

But I hold up my hand,

I'm tryin' to make her understand

Lord, you know, everybody they tells me,

That somebody done hoodooed the hoodoo man

Dove insieme all'invocazione al Lord cristiano, si mescolano riferimenti a talismani, credenze superstiziose, o qualcos'altro. In questo caso quell'insieme di credenze e riti, cioè principi metafisici e pratiche che presentano aspetti iniziatici, magici, paranormali e che nello stesso tempo hanno avuto un ruolo di coesione sociale e storico dei popoli afroamericani è la religione voodoo ed i suoi derivati sincretisti afroamericani. Ed anche se questa non possieda nessun testo sacro, come le altre grandi religioni, può benissimo essere definita come "Religione". In ogni caso se l'origine etimologica di religione è la "religio" latina che a sua volta deriva da "religare" ossia "legare", il concetto di religione può applicarsi tranquillamente alla pratica del voodoo. La parola africana Bambara che definisce la religione è "lasiri" che al tempo stesso traduce "Legame", il concetto di un uomo "religioso" cioè legato con obblighi e vincoli alle divinità oppure il potere della religione di legare tra di loro uomini e gruppi ad un credo comune diventando quasi la raffigurazione dell'unione di un popolo ben si adatta alla storia del popolo afroamericano ed alle proprie radici religiose e culturali. Non che la religione cristiana non abbia avuto e non ha un ruolo coesivo nel popolo nero, tante delle forme religiose ereditate dai bianchi furono prontamente adottate, non necessariamente imposte, e spesso vissute con un maggiore trasporto rispetto ai bianchi stessi. Ma è proprio il vivere religioso differente che ci dà la chiave di lettura dell'argomento, non a caso nelle antiche religioni africane del Dahomey progenitrici del voodoo, l'accettare la religione dei "Conquistatori" significava ereditarne dignità e prestigio, ed il gesto non era il deporre le armi ai piedi del predatore ma riconoscerne la potenza accrescendo così la propria. Non a caso il vissuto religioso del black people è un gesto continuo e quotidiano di religiosità sorprendente, totalizzante, dove la spiritualità è forma diretta ed autentica del rapporto trascendente-immanente, senza le speculazioni tipiche della cultura religiosa occidentale. Non a caso l'adozione, sotto le forme più consone alla spiritualità nera, delle religioni bianche ha significato spesso dover usare il termine sincretismo. Sarebbe impensabile onestamente, per un prete bianco europeo appena uscito da qualche seminario poter pensare di rivedere la sua teologia in funzione del posto dove magari è costretto a vivere e predicare, adottarne i riti, le icone religiose, sarebbe un tradimento al suo fondamento religioso. Per il popolo nero così non fù, ed anzi fece proprie le figure religiose cristiane, i riti, i santi, i libri sacri, ma non tradì mai in fondo le proprie origini. Ed è su queste origini che si fonda la duttilità della religiosità nera e la sua potente espressività che maggiormente si può ritrovare, appunto, nel blues.

Non vorrei ritornare di nuovo sugli effetti nocivi di una cattiva iconografia del blues, che, per anni l'ha etichettato solo come forma espressiva tipica degli stati d'animo di un popolo oppresso e di conseguenza dedito all'alcool, alla droga, al gambling, al sesso sfrenato, ad urlare contro il proprio tragico destino, insomma un succedaneo culturale buono per intellettuali occidentali annoiati. Di certo, non ha giovato alla diffusione capillare del genere e soprattutto della sua squisita autenticità culturale e, nel suo momento di maggior diffusione nel mercato discografico bianco (anni '60 in Inghilterra soprattutto con il blues revival), è coincisa invece, guarda caso, con il periodo "Rivoluzionario-Giovanile" della messa in discussione dei valori borghesi all'insegna della trasgressione e dell'anelito della costruzione di un nuovo mondo possibile alternativo. Dapprima, ed il mercato discografico americano come l'arcinota storia del bigottismo puritano americano ce l'insegnano, il blues fu, evitato, demonizzato, deriso, isolato. A questo fenomeno si collegano le dinamiche socio-razziali che pervasero la storia degli Stati Uniti d'America in un quadro complessivo che escludeva dal mercato discografico la produzione artistica nera proprio perché non espressione dei valori della società bianca dominante, ma soprattutto perché i neri non rappresentavano una fetta di potenziali acquirenti discografici per la generale indigenza della classe nera. Per cui il successo degli artisti blues era decretato da un mercato parallelo, sì esistente, ma dove le cifre milionarie del vero business musicale erano un miraggio, i race records rappresentarono solo una parte dell'intero e sostanzioso giro d'affari dell'industria discografica in mano ai bianchi. Insomma per questo motivo, penso, diventò poi molto dopo, la musica che da allora a tutti piace…sinonimo di libertà, di simpatia per il popolo nero, di allegra giovialità, d'intense emozioni…coincidente proprio con il momento di pacificazione razziale e di superamento delle diversità. Ma se si va a raschiare, sotto sotto, per quanto il blues ottenga simpatie e favori non gode tutt'oggi di quella capacità di penetrare stabilmente nel gusto musicale e di conseguenza nella diffusione dai grandi numeri del business discografico. Le cifre delle vendite diventano consistenti quando sono artisti non squisitamente blues a buttare sul mercato dei prodotti pseudoblues tipo Eric Clapton, o il nostro italianissimo Zucchero, andando a pescare nell'immaginario collettivo del blues, per il look o per i lanci di presentazione, di cui sopra, e producendo dischi che di blues in senso strettamente musicale presentano veramente poco. Dai miei amici di qualche anno più avanti, quando dico che suono blues…che vado pazzo per il blues…sento dire: "bello…! " e allora chiedendo se hanno dei dischi, quanti, cosa preferiscono se il blues di Chicago o lo swamp blues,…mi ritrovo sempre con la stessa delusione..: "ma sai veramente avrei un solo disco…" e magari i soliti (con tutto il rispetto) John Lee Hooker o B.B. King…. Non affrontiamo poi i coetanei o i più giovani non è questo l'ambito…ma il panorama di approccio generale al blues è quanto di più superficiale si possa immaginare. E' evidente che le mode influenzino molto i gusti musicali, i menestrelli radiofonici prezzolati dalle case discografiche hanno solo la libertà di far girare sul piatto Ridin' with the King…e già potrebbe essere abbastanza. Comunque tanto per tornare a quanto sopra, direi che gli eredi di quel sogno di gran libertà assimilarono alla controcultura occidentale così piena di odore di lacrimogeno rotolante su qualche piazzale davanti alla Sorbonne, anche una forma espressiva musicale tipica di rudi contadini del basso Mississippi che sicuramente non sapevano neanche chi fosse Mao-Tse Tung…. o cosa fosse l'I Ching…..Insomma nella rivoluzione dei poveri contro i ricchi prendiamo come inno la musica dei poveri contro i ricchi….dei neri contro i bianchi, dei delusi e degli oppressi contro i dominatori. Il guaio è che tutt'oggi ancora vedo in giro i soliti luoghi comuni…ma vivaddio che da un lato almeno ci sia un pubblico vagamente interessato e dalle motivazioni non squisitamente ortodosse, e non un pubblico di supersuper nicchia come mi sembra accada nel jazz laddove troviamo i cosiddetti fruitori esperti o gli amanti autentici, e nella maggior parte dei casi gli ascoltatori da "Sottofondo di salotto" che magari cercano disperatamente Bitches Brew (ed il riferimento non è casuale parlando di voodoo) per sfondare i "family jewels" dei propri ospiti in uno slancio di onanismo intellettuale….. Certo è che si dovrebbe fare qualche passo avanti…o meglio come dicevamo indietro. L'Africa…l'origine dell'uomo sembra sia avvenuta là….Oggi dire Africa evoca alla mente strane sensazioni per l'uomo medio occidentale..c'è chi pensa subito al villaggio turistico che ha visto sui depliant di Malindi, chi sogna di fotografare giraffe e leoni sopra una jeep al Maasai Mara, chi pensa al numero impressionante di malati di AIDS, chi ricorda un vecchio romanzo di Karen Blixen, chi si sente un po' Hemingway o Wilbur Smith, chi sogna ancora di andarsene a riprenderne un pezzo, chi sta con Mandela, chi sta contro le multinazionali farmaceutiche, chi global e chi no-global, chi ci vorrebbe mettere una bomba così tutti quei "Neger" non vengono più su a vendere cd falsi e a battere per le strade della nostra pulita Italia. Insomma venghino Signori, a volte vorrei essere un nuovo Buffalo Bill per portare in giro con un circo, in Africa, le bestie esotiche che si vedono in giro….. L'Africa è l'Africa, con la sua gente, la sua cultura, la sua storia affascinante e "Sfortunata" (?), fatta di migrazioni, guerre, arte, la sua religione, la sua musica…e nel confronto con il nostro mondo ci facciamo prendere da eccessiva emotività….che può spaziare dal pur giusto senso di colpa Occidental-Colonialista solidaristico alla altezzosa superiore vista dall'alto di un affascinante esotico mondo abitato soprattutto da animali del National Geographic o spesso dall'indifferenza più crudele. Ora che ho esposto il mio punto di vista, cerchiamo di capire il rapporto che esiste tra religioni africane e la musica afroamericana più autentica…ovvero tra voodoo e blues. La pratica del Voodoo proviene appunto dall'Africa e, probabilmente, è antica come lo stesso continente. La parola "Voudum" è originaria del dialetto della tribù Ewe e significa Dio Creatore o Grande Spirito. L'origine supposta da un ipotetico veau d'or (francese: vitello d'oro) attorno al quale si celebrano danze sacre non sembra fondata. In senso stretto, la parola vudù deriva dal vocabolo africano (precisamente dal Dahomey, ora Benin) vodu, trasmessaci attraverso l'inglese voodoo nel 1880, e indica il dio-serpente (Damballah-ouedo) dei Negri della Guiana olandese (Suriname), secondo l'"Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti" (Roma 1929-1981; cfr.vol.XVIII, p.318, anno 1933). In senso lato, essa indica "ciascuno degli dèi o spiriti di origine africana, adorati nel vuduismo" (nell'appendice all'ottava edizione [1965] del vocabolario di N.Zingarelli). Gli Ewe sono il gruppo etnico maggiore ed i Fon, Mina, Adja sono sottogruppi. Altri gruppi dai quali viene il contributo per la nascita del cosiddetto Voodoo (Vodu, Vodou, Vodoun, Vaudou, Vaudon) sono: Gwa, Tchamba, Adja, Yoruba, Nago, Goun, Holli, Aizo, Mahi, Bariba, Phila-Phila, Asante, Anlo-Ewe,Taneka, Dindi, Peulh. In verità, c'erano almeno 35 differenti gruppi etnici nell'Africa dell'Ovest, estesi dal sud-Est Senegal (antico Ghana), a Abeokuta in Nigeria, che si considerano responsabili della nascita della religione Voodoo. Comunque, quasi tutte discendono da un unico antenato comune nell' "Est," ovvero la nazione di Ketu, (ora Benin di Nigeria) e tutte le tribù la riconoscono come la loro casa di nascita . Ketu è noto come Amedzofe o Mawufe alla Ewe e Fon ed il Ga-Dangme che più tardi sarà noto come Akhan. Racconti orali dicono della loro esistenza in Ketu dall'11° secolo, fino all'espansione dell'impero Oyo. Il Vodou è esistito in questa regione per più di 300 anni. Successivamente con l'espansione dell'impero Oyo, la tensione ha condotto a conflitti e migrazione progressiva delle tribù Ewe, Fon e Ga che si raggrupparono nel sud. Gli Ewe migrarono nell'area attuale del Togo dalla valle del fiume Niger tra il 13° e il 14° secolo. Si stanziarono anche in molti altri paesi del Golfo di Guinea, Sierra Leone e Gabon. La loro sistemazione comune era all'inizio del 17° secolo a Notsie, una città localizzata nella attuale Repubblica di Togo. La loro lingua è chiamata Ewegbe, letteralmente "lingua degli Ewe" , e consiste di più di 35 dialetti diversi. Durante il 15° e 16° secolo, esploratori portoghesi e commercianti hanno visitato la costa. Per i successivi 200 anni la regione litoranea divenne il maggiore centro di scorrerie per europei in cerca di schiavi, e così Togo e la regione circostante guadagnano il nome di "Costa degli schiavi" . Il Voodoo è quindi una pratica religiosa che ricomprende le antiche religioni Akan, Ifa, Orisha, La Reglas del Congo, e Mami Wata. Il commercio degli schiavi iniziò nel 1510, strappati dalla propria terra nativa, soprattutto nella zona costiera centroccidentale dell'Africa: ora Camerun, Togo, Benin, Ghana, Nigeria. Portarono con loro solo l'unico bene di cui potevano rimanere in possesso: la propria religione, fede e pratiche religiose, la maggior parte di essi furono deportati nelle isole caraibiche, e costretti con la violenza a lavorare nelle piantagioni ed a convertirsi al cristianesimo. Proprio in una delle isole caraibiche Haiti si trovava il grande centro di "accoglienza" e smistamento degli schiavi africani. Ed è proprio ad Haiti che il voodoo ancor oggi ha mantenuto la sua più pura identità, in altre isole Caraibiche, Cuba, ad esempio, possiamo trovare dei "derivati" più sincretisti come la Santeria o qualcosa di ancor diverso in altri paesi dell'America meridionale come l'Umbanda , Quimbanda e Candomblè. Una serie di stereotipi negativi hanno accompagnato il voodoo: i sacrifici umani, i vampiri, il sangue gocciolante ed il culto del diavolo, tutto questo viene usato nelle novelle e film di fantasmi, e niente di tutto ciò proviene o appartiene alla religione del Voodoo. La tribù Ewe è stata riunificata in un'enclave all'interno delle frontiere politiche della parte meridionale della Repubblica popolare del Benin (l'ex-Dahomey) che è stata una colonia francese nel periodo 1894-1958, nota sia per il Voodoo che per le sue bellicose amazzoni guerriere (battaglie di Ouidah del 1727 nonché di Porto Novo e di Ouidah del 1889). Agli Ewe, Albacete aggiunge gli Zulù e i Mandinga, dicendo che la religione guerriera wuduista ("El vudù naciò guerrero") sorse dalla stregoneria tribale in Africa, approssimativamente, tra il 7000 e il 3000 avanti Cristo. Nelle guerre tribali, dapprima si affrontavano i sacerdoti delle tribù in lotta con lavori di magia negativa durante varie giornate e se vinceva il più bravo, con lui vinceva anche la sua stessa tribù; poi si scagliava una lancia e se moriva un guerriero si dava per finita la guerra. Con l'arrivo di Shaka-Zulù, capo guerriero e sacerdote vudù degli Zulù, cambiò la guerra grazie all'uso di un nuovo tipo di lancia (creato da un loa della parte nera) e del grande scudo che difende tutto il corpo. Shaka-Zulù proibì a tutti i sacerdoti di praticare il Voodoo e uccideva chi disobbediva con l'impalamento. Così i sacerdoti ribelli furono perseguitati, catturati e venduti come schiavi. Con i lavori di magia vudù si mira ad ottenere unioni, scioglimenti, attrazione, magnetismo personale, allontanamento di persone moleste, controfatture per i lavori di magia nera e anche vuduista, successi finanziari e liberazione dello spirito da ogni male.

Secondo la leggenda, le dinastie dei regni situati a sud dell'attuale Repubblica del Benin, provengono da Tado, una città dell'attuale Togo e hanno origine da una coppia mitica: la principessa Aligbonon di Tado e un leopardo. Nel corso del XVII secolo, due dei loro discendenti, Ganyé Hessou e Dako, fondano un nuovo regno: il Danhomé. Houégbadja (1645-1685) stabilisce le basi legali e i grandi principi di funzionamento del regno: regole di successione, obiettivi politici dei sovrani. In quest'epoca l'estensione del regno si limita all'altopiano di Abomey. Nel secolo XVIII, il re Agadja (1708-1740) amplia le frontiere del Danhomè fino alla costa atlantica conquistando i regni di Allada e di Savi. Da questo momento, il Danhomè prende attivamente parte al commercio negriero utilizzando il porto di Ouidah, capitale di Savi e si arricchisce considerevolmente. Il regno raggiunge il suo apogeo durante il XIX secolo sotto il re Guézo (1818-1858). Costretto dal movimento antischiavista, Guézo sviluppa l'agricoltura e converte l'economia del Danhomè esportando meno apertamente schiavi ed una maggiore quantità di prodotti agricoli (mais, palma da olio...). Alla fine del XIX secolo, nonostante l'accanita resistenza del re Gbêhanzin (1889-1894) alla penetrazione europea, il regno perde la sua indipendenza e si dissolve nella colonia francese del Dahomey. La tratta negriera in direzione verso l'America fu ufficialmente autorizzata il 12 gennaio 1510 (Ilanèe- Colonisation et conscience chrètienne Plon, Paris 1957) e nel corso dello stesso anno i primi contingenti di schiavi neri arrivarono a Hispaniola, grazioso nome dell'attuale Santo Domingo. Fu proprio il Dahomey attraverso il porto di Ouidah, tra il settecento e l'ottocento a dare il suo contributo maggiore grazie alla dinastia degli Agasouvi ( i figli della Pantera) che regnavano ad Abomey e per tre lunghi secoli cacciarono rendendo schiavi i popoli vicini avvalendosi dell'armata delle Amazzoni. Un esercito di terribili donne guerriere che sapevano combattere con la ferocia di un animale selvaggio, pronte a sgozzare le vittime con i propri denti, spolpare i loro crani e cibarsi delle loro carni. I teschi venivano omaggiati ad alti funzionari e ambasciatori o come abbellimento al trono del sovrano. Nel museo di Abomey è conservato il trono di Ghezo, re di Abomey dal 1818 al 1858 che poggia su quattro teschi. Si calcola che durante questo periodo, chiusosi definitivamente nel 1900 con l'annessione del Dahomey a colonia francese in seguito alla resa del re Behanzin alle truppe francesi nel 1894, l'Africa abbia offerto molto più di 10 milioni di fratelli. A ricordo di questo deplorevole Olocausto, oggi il Benin sta ricostruendo, pezzo per pezzo, a fatica i brandelli del passato consacrando Ouidah la città della memoria. Si è iniziato nel 92 con la consacrazione dell'antica strada che gli schiavi, incatenati da collari, manette e cavigliere, un morso tra i denti legato stretto alla nuca per evitare che potessero parlare e urlare, percorrevano in lunghe file, dal deposito dove venivano ammassati per giorni e a volte settimane, fino alla spiaggia dove erano imbarcati. Grandi sculture in cemento dipinto, fiancheggiano la pista rossa in terra battuta, in una surreale Via Crucis fatta di serpenti che si mordono la coda, camaleonti, uomini a tre teste, amazzoni, ciascuno con una simbologia ben precisa, giù fino alla spiaggia dove si erge maestosa la " Porta del non-ritorno", un grande arco di rame e cemento "affinchè l'oblio non li uccida una seconda volta". Era un passaggio obbligato, qui gli schiavi venivano fatti girare per tre volte affinchè l'anima una volta staccata dal corpo potesse fare ritorno in Patria. A Ouidah c'è anche un museo dedicato alla tratta degli schiavi, raccoglie cose semplici ma racconta bene l'Olocausto. E' sistemato nel vecchio forte portoghese il San Joao Baptista datato 1721. In netto contrasto l'altro Museo, non inserito nelle liste ufficiali e non amato dagli indigeni: E' di proprietà dei discendenti di Don Francisco de Souza, il negriero che si insediò nel forte portoghese nel 1788. Rimbalzò agli onori di cronaca grazie a Bruce Chatwin che ne romanzò le gesta con "Il vicerè di Ouidah".(Adelphi, Milano 1997)

Senza dubbio, indipendentemente dal fatto che Haiti costituisca parte essenziale dell'argomento e giochi un ruolo importante in questa materia, il Voodoo non è affatto sorto nella magica isola franco-antillese, bensì in un'altra parte dell'Oceano Atlantico, vale a dire sulle coste africane del Golfo della Guinea (Costa degli schiavi) e, più profondamente, costituisce uno dei tanti retaggi dell'antica magia della sommersa Atlantide (secondo la Chiesa Cattolica Antica occultista di Haiti e La Couleuvre Noire di Michael Paul Bertiaux). Ma quando, a partire dal 1503, i negrieri cominciarono a riempire le loro navi di uomini e donne schiavizzate, il Voodoo li accompagnò dalle regioni africane fin dentro il Nuovo Mondo. In sostituzione della popolazione india, quasi completamente sterminata dagli Europei colonizzatori, vennero deportati schiavi dall'Africa perché considerati più resistenti alla fatica. Rispettivamente nel 1697 e 1795 le parti occidentale e orientale dell'isola passarono sotto il dominio francese. I riti religiosi africani erano stati rigorosamente proibiti dal Codice per i negri del 1685; il Voodoo venne allora praticato segretamente sulle montagne. Questa forma rappresentava l'unico legame rimasto tra gli schiavi e la terra d'origine e si può ben dire che costituisse anche una forma di autocoscienza politica. Nella notte del 14 agosto 1791, il culto si manifestò, infatti, come potente fattore rivoluzionario. Lo schiavo e sacerdote Boukmann diede il segnale della rivolta durante una cerimonia voodoo: la fede nelle divinità della terra africana e nel potere del culto dette ai neri haitiani la forza di cominciare una guerra di liberazione contro i francesi, Dodici anni più tardi, dopo una lotta sanguinosa, venne nel 1803 raggiunta l'indipendenza. La rivolta degli schiavi è considerata oggi come festa nazionale dei Vuduisti. Il culto, tuttavia, tornò ad essere illegale poco dopo la vittoria degli schiavi: parte della classe dirigente aveva, infatti, accettato i modelli culturali francesi ripudiando la tradizione africana. Nel 1957 Francois Duvalier, sostenitore del culto venne eletto presidente, e chiamato papa Doc dai seguaci voodoo, si proclamò presidente a vita e, nel 1964, mobilitò le masse dei poveri per una nuova rivoluzione contro l'oligarchia mulatta. Ne conseguì una guerra civile e razziale tra neri e mulatti, considerando il Voodoo come "religione di liberazione" elevò diversi riti al rango della religione nazionale, nonostante che il Cattolicesimo restasse ufficialmente la religione di Stato, per questo motivo fu anche scomunicato dal Vaticano. Nel 1971 ad esso successe Jean Claude Duvalier detto baby-Doc anche lui come presidente a vita ma il 7 febbraio 1986 venne destituito e dopo disordini durati parecchi mesi fu costretto alla fuga. I praticanti del Voodoo si riuniscono in una comunità, chiamata société. La société si riunisce attorno ad un Hounfort, dove vengono eseguiti i rituali da un sacerdote o una sacerdotessa, chiamati rispettivamente Houngan e Mambo. Le Sociétés Voodoo sono molto compatte e garantiscono una struttura organizzativa centrale alle piccole communità ad Haiti. Se lingua, costumi, lotte tribali caratterizzavano le varie etnie, nella religione esisteva un comun denominatore che le univa cioè la credenza in unico Dio, essere supremo, creatore, eterno ed infinito ma sempre lontano e distaccato dalle questioni mondane, un Dio quindi fondamentalmente poco sentito ed astratto detto Mawou, Obatala, Olorun per i vari gruppi etnici di Guinea mentre Bon Dieu ad Haiti o a New Orleans. A spiegazione di quest'atteggiamento di divino e sublime distacco verrebbero a supporto le antiche leggende secondo le quali un tempo Dio avrebbe partecipato alla vita del villaggio ma fu offeso dal comportamento degli uomini, anzi in verità ed in particolare da quello delle donne che usavano inginocchiarsi a schiacciare i tuberi di manioca nei mortai. Quando queste presero a cambiar posizione nel compiere l'operazione, alzandosi in piedi, i colpi dei manici del pestello colpirono incessantemente il cielo. Un rapporto fra Dio e uomini così stranamente caratterizzato da un misto di timore e aristocratico distacco, lasciò dunque spazio a tutta una serie d'intermediari o delegati come Dei secondari, minori o domestici. Al di sotto di questo Dio onnipotente, stavano quindi gli Spiriti o Loa che guidano gli affari del mondo: le divinità sono d'origine africana ma spesso assimilate a figure sacre del cristianesimo e sono anche talvolta dette Orisea, Saints (Santi) o Anges (Angeli). Esse si occupano della famiglia, l'affetto, la salute, il lavoro, il raccolto, la pesca, l'amore, il sesso e vengono fatte delle offerte all'appropriato Loa per assicurarsi che un proprio desiderio o richiesta si avveri con successo. Ogni Loa ha il suo frutto o vegetale, colore, numero, giorno della settimana e si manifesta attraverso elementi della natura: vento, pioggia, lampo, tuono, il fiume, l'Oceano. Alcuni animali, alberi o pietre. Gli antenati sono venerati e consultati per guida o protezione, si crede che dopo la morte l'anima o coscienza di un individuo rinasca in un altro corpo solitamente della stessa tribù o famiglia. I Loa sono dunque le divinità e gli spiriti del vudù e fanno parte del pantheon vudù, la parola Loa deriva dal congolese "Spirito" ma la sua migliore interpretazione sarebbe "Genio". Ne esistono un'infinità e sono in continua evoluzione, se si pensa che per alcuni gruppi etnici anche gli eroi o gli antenati del villaggio potevano essere assunti come Loa diventa veramente difficile ricostruire l'intero pantheon vudu. Forse i maggiori gruppi sono i Loa Obsom degli Ashanti oppure i Trowo degli Ewe o gli Orisha degli Yorouba. I principali, riconosciuti da tutti, hanno origini africane; gli altri sono creoli, meno potenti, ma fondamentali. Il pantheon vudu si può classificare comunque anche secondo le sue successive ramificazioni che traggono comunque origine dalla versatilità e dinamismo della cultura religiosa dell'antico Dahomey. Non è un caso che ci si possa perdere attraverso la ricostruzione visto che come religione trae proprio la sua origine da una cultura dell'assimiliazione di altre etnie. Gli antichi sovrani di Abomey infatti, mentre procedevano alle conquiste non solo usavano sottomettere i popoli e annettere il loro territorio al regno ma ne prendevano anche le divinità. I vodun potevano essere acquisiti anche per alleanze reali, per matrimoni, per il combattere epidemie, per stipulare un accordo e la propensione al sincretismo haitiano nasce proprio da questa antica tradizione di reciprocità dahomeana. Per Haiti dunque la classificazione dei loa segue non tanto l'origine africana reale quanto quella necessaria alla riunificazione dei vudu delle diverse componenti etniche deportate nella colonia e cioè un pantheon rada (dei dahomey e yoruba), congo (bantu), e petro (nato ad Haiti quindi creolo). Questa distinzione indicherà anche i tre tipi diversi di rituale e tre tipi di pantheon principale retti da tre diverse divinità cioè: Mawu Lisa (il cielo), Sagbata (la terra) ed Hèvioso (il tuono e il mare). Gli uomini chiedono ai loa, protezione e questi li "posseggono" durante i riti. Diventa quindi importante il rapporto diretto che si instaura tra divinità e fedele, il magico rapporto tra trascendente e immanente che si manifesta attraverso l'intervento terreno nella trance mistica. Il loa invocato sale da en bas de l'eau, dagli abissi dell'Oceano di fronte al golfo di Guinea (Guinée), dove vive con gli antenati e camminando per il chemin de l'eau si manifesta al devoto impossessandosi della sua testa, e l'individuo diventerà il Loa stesso che dirà agli altri fedeli le proprie necessità, farà predizioni, dispenserà consigli e avverimenti. Il posseduto sarà il choual (cavallo) di un unico loa, per il vodoo africano e per i derivati sincretisti brasiliani, e "porterà" invece più Loa per i vuduisti haitiani. I tre pantheon haitiani altro non sono che la rappresentazione della struttura del mondo e sono tenuti separati tra loro con cerimoniali, formule e rituali che non devono confondersi con gli altri, anche se avendo tutti la stessa origine fon avranno tutti un aspetto rada ed i rituali hanno tutti la stessa struttura principale rada. Questi spiriti sono molto attenti e particolarmente sensibili alla devozione del fedele, possono, per essere stati pregati in modo corretto e generoso, elargire grandi favori, come possono invece scatenare incredibili collere e per placarli o ingraziarli è necessario fare offerte, sacrifici, danze, musiche appropriate alla personalità del Loa. Il loa invocato per primo durante le cerimonie è Legba ( o Papa Legba, Legba di Abomey e di Ouidah, el niño Elegguà, Eshu, Exu, Lucero del Mundo che apre le vie o Sant'Antonio da Padova); Esso ha un posto preminente per i popoli di lingua fon dell'antico Dan-homey, è malvagio e temuto, è sorgente di male e di vita. Viene rappresentato con un feticcio antropomorfo che osserva un fallo, simbolo di vita e posto nelle piazze o agli incroci. E' il signore degli incantesimi (ed i crocicchi si sa sono i posti più propizi per questi) e si identifica anche con Fa divinità Yorouba e conosce il linguaggio del Dio supremo, il futuro e il destino dell'universo. Egli traduce quindi le preghiere umane nella lingua delle divinità e svolge quindi un ruolo di mediatore tra loas e gli uomini. Suo compito è anche quello di sorvegliare la barriera che divide il mondo dei loas da quello degli uomini, così che nessuna forza divina possa raggiungere i fedeli senza il suo assenso e viceversa. Il suo simbolo è la croce di Legba in cui la trave verticale rappresenta il tramite fra mondo superiore celeste e mondo terreno come pure il cammino delle divinità verso la terra. Il punto iniziale del tragitto è situato immaginariamente in Africa. La trave orizzontale simboleggia invece la vita terrena. Il punto di intersezione della croce rappresenta l'incontro tra la sfera divina e quella umana: compito di Legba è quindi di vigilare su questo luogo di comunicazione tra loas e uomini. Legba è così invocato:

"Atibon legba, solleva la barriera per me […….].

Papa Legba solleva la barriera

Affinchè io possa entare.

Quando ritornerò saluterò i Loas.

Voodoo Legba, solleva la barriera per me

Affinchè io possa ritornare.

Quando ritornerò ringrazierò i Loas".

Papa Legba è un loa importantissimo, il suo ruolo di mediatore tra divinità e uomini ha portato ad identificarlo, di volta in volta con personaggi che appartenevano alla tradizione occidentale. Il suo ruolo di "interprete" dei desideri umani presso le divinità ha portato anche ad identificarlo con il Mefistofele faustiano, ovvero con il diavolo che concede una conoscenza, un abilità, un arte segreta e straordinaria a comuni mortali con il prezzo alto che ne conseguiva. Come vedremo, spesso il "diavolo" del Crossroad di Robert Johnson da alcuni è stato identificato proprio in Legba, in una leggendaria, come vedremo, affascinante ma ardua interpretazione. L'acqua è uno dei quattro elementi fondamentali che stanno alla base di tutte le conoscenze iniziatiche, è dall'acqua che nasce la vita, è nell'acqua come abbiamo visto che sta la casa dei loa. Il ruolo dell'acqua che dà la vita, che nutre i raccolti, che scende dal cielo e dispensa vita e prosperità è importantissimo per la religione africana. Non a caso ci fa notare Amiri Baraka ne "il popolo del blues" che i primi schiavi rimasero affascinati proprio dai metodi di conversione della Chiesa Battista e metodista. L'immersione nell'elemento acqua, che ricordava il battesimo di Cristo per mano di S. Giovanni Battista, era considerato probabilmente un avvicinarsi alla divinità, agli spiriti del fiume creduti fra i più potenti nella religione africana. I fiumi poi come il Congo, il Nilo, sono dispensatori di vita in Africa, intorno al fiume si costruiscono villaggi, dal fiume si pesca, lo si naviga per commerciare con le altre tribù, insomma sono elementi che devono aver fatto sentire un po' a casa i deportati africani magari trovandosi lungo le sponde del Mississippi. Anche se l'agghiacciante testimonianza di Chatwin su come gli schiavisti americani si procurassero la "Cipride" cioè la preziosa merce di scambio per nuovi schiavi in Africa ci induce a pensare come invece quelle acque fangose potessero trasformarsi in un terribile incubo. " Papa Agostinho concluse stancamente dicendo che Dom Francisco era andato in rovina quando gli Stati uniti avevano smesso di usare conchiglie di cipride come denaro. Mama Benz chiese cos'era veramente una cipride. "la cipride è una lumaca" fù la risposta. "Vive in un fiume chiamato Mississippi. Nei tempi andati gli americani buttavano nel fiume uno schiavo, le cipridi si attaccavano al suo corpo per nutrirsene, loro lo tiravano fuori e così si procuravano denaro per comprare altri schiavi." Ma la potenza dell'elemento naturale accoglie così com'è i suoi "numi tutelari", terribili, potenti, capaci di donare la vita così come la morte, di traghettare dolcemente le imbarcazioni come di farle affondare nell'impeto della tempesta. Agwe o Agouè ,per esempio, è la divinità dei mari e di tutto ciò che vive dentro o sopra di essi: pesci vegetazione marina, imbarcazioni, è il protettore dei pescatori e dei marinai e suo simbolo e strumento di culto è il corno di conchiglia, con il quale il marinaio invoca il vento favorevole. Il corno era usato anche per chiamare a raccolta i militanti neri durante le rivolte degli schiavi. Un altro simbolo per il voodoo haitiano è il pesce o la nave E' sincretizzato con S. Ulrico e collerico presiede all'iniziazione dei sacerdoti che portano la sua collana. Ben più importante è forse Damballah o Damballah-redo il dio-serpente, è la divinità della fertilità che vive sugli alberi posti alle vicinanze di sorgenti, dato che questo Loa è rappresentato da un serpente i Vuduisti venivano anche detti "Adoratori di Serpenti". È una delle divinità più popolari del vudù haitiano. Il colore bianco è suo simbolo ed è padrone dell'argento. È lui che dà la ricchezza, è il il dio della fecondità e della forza, insieme alla moglie Ayida-Weddo sono loa "Bianchi" cioè creatori connessi con le acque in tutti i momenti rituali. Presiede ai fenomeni celesti, ed è patrono delle fonti e dei fiumi ed è sincretizzato non a caso con S. Patrizio o Mosè salvato dalle acque,. La sua signora, ovvero Ayida-Weddo, è la signora del serpente celeste, ovvero dell'arcobaleno. E' anche dea della acque dolci, sincretizzata con l'Immacolata Concezione, e dispensatrice di ricchezze. I loro adoratori, quando posseduti, strisciano come serpenti o si arrampicano sugli alberi scendendone rapidamente. Diventano una sola persona invece nella radice originale africana per i popoli fon ovvero Dan Homey, il serpente sacro che letteralmente significa "nel ventre di Dan". Dan è quindi il serpente che è nei luoghi umidi essendo il signore delle acque, per la leggenda Dan abbandona la terra e si congiunge al cielo ma quando sta per penetrarlo lascia cadere un dono a terra, dono che avrà poteri magici ed eccezionali per chi avrà la fortuna di raccoglierlo. Una volta nel cielo Dan si spoglierà della sua pelle colorata e la stenderà ad asciugare facendo così apparire l'arcobaleno. .Ancora dall'acqua viene invece Erzulie (o Ezili o Erzulie Freda Dahomey) è la dea della ricchezza, dell'abbondanza e dell'amore. Potrebbe essere la versione nera di Afrodite o Venere, è donna per eccellenza, è bella civetta, capricciosa e con il suo fascino e seduzione ha conquistato quasi tutti i Loa, tanto che con tutti gli ingarbugliamenti amorosi lei ne esce come donna infelice, mai appagata del suo desiderio di essere veramente amata. E' rappresentata come una mulatta dalle lunghe chiome e sincretizzata con la Mater Dolorosa il cui simbolo è un cuore trafitto da una spada, ha avuto una unica figlia da Ogou Badagri che è però scomparse nel mare, altre sue sincretizzazioni sono la Gran Erzulie protettrice dei focolari e grande dea delle acque dolci, S. Elisabetta e la Vierge Caridad patrona di Cuba. Più misteriosa è Mami Wata o Mayamata detta anche La Sirène, anch'essa divinità acquatica è moglie di Agwe ed è sincretizzata con S. Filomena o con l'Assunta. E' forse la più pericolosa delle divinità acquatiche, ha l'aspetto durante il giorno del giacinto d'acqua che si trova nei fiumi africani, le radici che galleggiano intrecciate, lunghe e folte sono i capelli del Loa. Chi coglierà il fiore sarà vittima della vendetta del Loa per aver profanato la sua casa: lei la notte ti farà vivere un sogno eccitante assumendo l'aspetto della donna amata per poi risucchiarti, con il richiamo di una melodia fatata, in mezzo al groviglio di radici e trascinarti sul fondo col suo gelido abbraccio. Dal cielo scende anche la pierre tonnerre, la pietra del tuono, la pierre foudre, per mano di Heviesso o Azak-Tonnerre (sincretizzato con S. Pietro) la divinità del lampo e del tuono, protettrice degli agricoltori. Il dio la lascia cadere quando è offeso ed è il colpo fendente della sua ascia (che similitudine con il martello di Thor!) che genera la pietra del tuono, ma a volte capita che al Loa sfugga dalle mani nel recupero e la stessa cada sulla terra. L'uomo mortale, che riesce a recuperarla , potrà avere tra le mani la forza dirompente di Heviesso contenuta nella pietra del tuono e confezionarci gris gris. Il recupero avviene nella direzione perpendicolare alla caduta dal cielo del lampo, la sua forma sarà quella di un ciottolo ma più spesso di una vera e propria ascia neolitica. Un altro Loa, assimilato al gruppo degli Ogou, è Shango, connesso anch'esso con il tuono, la tempesta il fulmine, è un gran generale che aggiusta i cattivi affari e guarisce i mali, ma è il gran gruppo degli Hougou che racchiude tra i più potenti Loa. È di origine nago (Yorouba) è appunto un gruppo di loa molto potenti,quasi tutti guerrieri o fabbri. In tempo di guerra essi non scendono, ma in tempo di pace possiedono molto violentemente i seguaci facendogli vestire abiti dal colore rosso il loro preferito. Sono grandi amanti del rhum che i fedeli tracannano senza sosta quando ne sono posseduti. Papa Ogou: o S. Giacomo Maggiore, è il padre di tutti ed è guaritore è rappresentato accompagnato da un cane, Ogun Ferraille (o Hogou): sincretizzato con S. Filippo, è il dio del ferro e del fuoco, e conosce tutti i segreti della fusione dei metalli. In lingua fon la parola "gou" significa fabbro cioè colui che simbolicamente conosce e domina la potenza del fuoco, riassumendo quelle prerogative che erano dei Marte e Vulcano romani, proteggendo i prodotti del fuoco, cioè principalmente le armi, è inoltre considerato un grande amatore simbolo della potenza virile. Ogun Badagri o S. Giorgio è la divinità della guerra, è aggressivo e molto dedito all'alcool. Ogou Ashadè è un bokor ,cioè un sacerdote o stregone, potente depositario delle conoscenze della arti medicinali delle piante, Ogou Balindjo considerato un terapeuta è sincretizzato con S. Giuseppe o S.Giacomo Minore. Un altra famiglia importante che trae origine dalle varie divinità dell'altopiano di Abomey poi trapiantate ad Haiti è la famiglia Guédé. Essi erano divinità dei Gédévi, abitanti dell'altopiano prima dei Fon e che una volta vinti furono venduti come schiavi e trasportati ad Haiti, tanto che il culto dei Guédé risulta quasi scomparso nell'attuale Benin. Sono le divinità della morte e formano una famiglia di circa 30 divinità per lo più loa dei cimiteri: ne fanno parte Baron Samedi (Sabato francese) il padre e capo simboleggiato da una croce e un teschio, esso presiede al processo di zombificazione ed ha carattere egocentrico ed ombroso, è sposato con Maman Brigitte una nera sincretizzata con S. Brigida, che quando possiede i fedeli li fa piombare in uno strano stato di catalessi come fossero morti. Baron La Croix (croce franc.) và invece a prelevare i morti dall'obitorio e li consegna al Baron Cimetière, custode del cimitero. Vengono tutti rappresentati come becchini che indossano cilindro soprabito nero e occhiali scuri. Durante la festa dei defunti del 2 Novembre quando vengono festeggiati, viene danzata la banda, un ballo a forti tinte erotiche, essi vengono invocati alla fine dei riti dopo gli Ogoun e danzando parlano in modo osceno, in quella occasione possiedono i fedeli che vestono con frac rattoppati, occhiali scuri, batuffoli di cotone nel naso e nelle orecchie e fumano sigari. Altri Loa che fanno parte del pantheon voodoo sono: Zaka o Azaka Médé che viene venerato come nume pacifico dei lavoratori della terra e come protettore dell'agricoltura, è simboleggiato da una lucertola ed è anche protettore dei viaggiatori, sincretizzato con S. Carlo. Erinle: lo spirito delle foreste, Agassou la pantera o leopardo che fondò la regale dinastia di Dahomey, Ayizan patrona dei mercati e delle piazze, delle barriere e delle porte, è rappresentata da un serpente e dalla palma reale, è simbolo di libertà e potenza e sincretizzata con Il Cristo, è la moglie di Legba e appare come una nera vecchia che cammina molto. Il signore degli Hounfort ( i luoghi dei riti) e patrono degli houngan ( i sacerdoti) è invece Loku Atissou, è anche Dio degli alberi e conoscitore dei segreti delle foglie nonché capo della scorta di Legba che come lui sorveglia le strade e le case. Dopo questo primo viaggio affronteremo nella terza parte, una piccola storia della diaspora africana la fede, la magia ed il folklore, i riti iniziatici, e la possessione. Affronteremo poi nelle successive il vodoo di New Orleans, l'Hoodoo, ed una attenta analisi dei testi blues alla ricerca della tradizione afroamericana. Infine alcune riflessioni di musicologia sulle corrispondenze africane con il blues. Il maggior esponenente della cultura blues, che esprime questo forte e sottilissimo legame fra la musica afroamericana e la cultura voodoo era Robert Johnson. Ossessionato dal demonio, protagonista di una vita errante e solitaria, immersa nel peccato e nella perdizione, figlio dell'America rurale e profonda pre-bellica, Robert Johnson è uno dei musicisti fondamentali del secolo scorso. Con le sue litanie malate, ha costruito la grammatica e la semantica del blues-rock, imponendo uno standard universale, riscontrabile in una miriade di musicisti contemporanei

If I had the possession over judgment day

If I had the possession over judgment day

Then the woman I'm lovin' wouldn't have no right to pray

("Se fossi padrone del giorno del giudizio

Se fossi padrone del giorno del giudizio

Allora la donna che amo non avrebbe diritto di pregare")

Robert Johnson è una delle personalità musicali più importanti del secolo scorso. Del blues e del rock ha costruito la grammatica e la semantica, imponendo uno standard universale, riscontrabile inequivocabilmente in una miriade di musicisti contemporanei. Buona parte della musica popolare americana evolve da sue intuizioni, nonostante egli non fosse né il primo né il più prolifico dei bluesman pre-bellici. Cerchiamo di analizzare le ragioni di tanta importanza operando un brevissimo excursus sul contesto socio-culturale che ha letteralmente eruttato un personaggio di simile fatta. La società americana di inizio 900 è figlia delle contraddizioni insite nei suoi orientamenti politico-economici. La guerra di secessione ottenne il deleterio risultato di incoraggiare le ambizioni imperialiste degli stati del nord, marginalizzando così l'economia agricola, unico strumento di sussistenza del sud del paese. Siffatta situazione costituì l'alveo ideale entro cui poté definitivamente radicarsi la segregazione razziale, in un percorso che ha le sue origini nell'America di inizio 800 dove, nonostante il Bill of rights (1791), il sistema schiavistico non subì delegittimazioni, ma anzi venne riconosciuto (di fatto) elemento fondante dell'economia americana. Nell'arco di due secoli, lo status sociale dei neri oscillò di poco, passando da una situazione di pura schiavitù a una condizione di schiavitù dai bisogni post-guerra di secessione. La musica nera sboccia come fiore delicato in un deserto morale. Lo spiritual è canto sociale di liberazione, esprime il bisogno di un popolo di trascendere la propria condizione esistenziale, di imboccare la via per il paradiso. Esso non è in realtà canto esclusivamente nero, ma germina dalla confluenza di due tradizioni: da una parte i canti di lavoro e le litanie degli antichi popoli di agricoltori dell'Africa occidentale, dall'altra i salmi degli immigrati di razza bianca provenienti dal vecchio mondo. Convertendosi al Cristianesimo, lo schiavo ne metabolizza i temi, ne interiorizza l'essenza religiosa e adatta il tutto alle strutture ritmiche della cultura musicale africana. Il blues deriva dallo spiritual, in un percorso che trova la sua svolta decisiva con l'epilogo della guerra di secessione e la fine formale della schiavitù. L'uomo di colore ora è libero, ma la sua condizione materiale non cambia, ecco che allora il blues si configura come canto individuale, che ha lo scopo non di esprimere il bisogno di liberazione di una collettività, ma la disperazione, la solitudine e lo smarrimento del singolo, la condizione dolorosa dell'uomo di colore, formalmente integrato, ma di fatto represso in una società egemonizzata dai bianchi. Musica individuale allora, che traduce in note i temi dolorosi della vita, che, non trovando più accompagnamento corale, avverte l'esigenza di un sottofondo musicale che veicoli quei sentimenti. Banjo, chitarra e armonica vanno a definire il corredo strumentale degli arcaici bluesman di inizio Novecento. L'immaginario e la potenza immaginifica che questa musica racchiude sono altresì la risultante dei modi, dei ritmi, delle non scelte della società americana di inizio Novecento e della sua non benevola predisposizione nei confronti dei neri. Il bluesman viaggia in lungo e in largo per l'America (ecco allora la ballata ferroviaria), cerca di guadagnarsi da vivere in modi non sempre leciti (ecco allora la violenza e le carceri), trova l'amore o il sesso che altro non può essere che occasionale, visto il suo vivere ramingo (ecco, allora, le canzoni d'amore, i mariti traditi, le zuffe), affoga nell'alcol i suoi peccati, canta la morte, non come punto di passaggio verso le gioie del paradiso, ma come termine materiale della vita terrena e delle sue sofferenze. Nel periodo che intercorre tra gli anni 10 e 20 del secolo scorso, il blues diventa vero e proprio genere musicale, articolandosi in classico e rurale (Country-Blues). Il blues classico è musica dell'urbe, eseguita da cantanti di colore reclutati dalle case discografiche nei teatrini vaudeville, nei "medicine show" o direttamente nelle zone del Delta, i quali "tradiscono" lo spirito originario e ne fanno strumento commerciale. Le storie raccontate dalle canzoni di classic blues sono spesso strutturate ad arte da parolieri pseudoprofessionisti, così da adattarsi al gusto estetico dei bianchi, ed esprimono le rinnovate istanze dell'uomo di colore, che, ormai formalmente libero, aspira alla completa integrazione. Il blues classico diviene fonte di guadagno per le case discografiche (è più facile vendere quel tipo di storie alla borghesia bianca) e trova tra gli interpreti di punta sicuramente Ma Rainey, Bessie Smith, Ethel Waters. Dall'altra parte, si sviluppò (o per meglio dire continuò la sua tradizione) il country-blues, che ebbe il suo epicentro artistico intorno alle zone agricole del delta del Mississippi e della parte orientale del Texas, nella Louisiana. Musicalmente più sgraziato (gli interpreti non disponevano delle orchestrine musicali degli artisti di classic blues), si riallacciava però allo spirito sincero e tradizionale della musica nera, non ancora corrotto dall'affarismo delle case discografiche. In questo contesto, gli artisti più significativi furono Blind Lemon Jefferson, Charley Patton, Leadbelly, Skip James, Son House, primo maestro di Robert Johnson.

Con questo non si vuole dire che gli interpreti di classic blues scrivessero musica vuota, anzi, le opere di Bessie Smith e Ma Raney sono dei monumenti di inscalfibile bellezza, ma se sono i prodromi dell'arte dei vari "Beefheart, Waits, Cave, Cramps, Blues Explosion, Red Red Meat e Old Time Relijun" che state cercando, è alla pagina dei bluesman rurali che va aperta l'enciclopedia del rock. Robert Johnson è l'archetipo dell'artista maledetto, l'uomo a cui il diavolo ha donato la chitarra e rubato l'anima, compositore di litanie malate, polvere, corvi, prigioni e ferrovie, spose violate e ira, le azioni, i sentimenti, la disperazione. Nato a Hazlehurst nello stato del Mississippi l'8 maggio 1911 (ma non ci sono certezze) dalla relazione extraconiugale della madre, Julia Dodds con Noah Johnson, uomo conosciuto dopo che il marito, Charles Dodds jr, dovette allontanarsi per sfuggire a una vendetta personale. Già in tenera età, Robert si dimostrò interessato alla musica e infatti imparò precocemente a suonare l'armonica, da autodidatta, prima di dedicarsi alla chitarra, con il fratello a impartirgli i primi rudimenti. Le notizie riguardanti la vita privata di Johnson sono poche, e non del tutto attendibili. E' abbastanza certo che verso il 1930, dopo aver trascorso qualche anno a Memphis, si sposò e si trasferì con sua moglie Virginia Travis a Robinsville; Virginia morì giovanissima, ad appena sedici anni, durante il parto del primogenito. Da quel momento, Johnson iniziò a vagare tra le varie città del delta del Mississipi, forse per lenire quel dolore e dare un nuovo senso alla propria vita, incendiando le anime con la sua musica infuocata e simbolica, incarnando alla perfezione la figura del bevitore donnaiolo, cantore nero dall'inferno. Johnson è oggi considerato il più grande bluesman del Delta, e non solo grazie all'enorme abilità chitarristica, ma anche per il fascino oscuro che effonde la sua figura. La leggenda, da egli stesso alimentata, narra di come riesca ad acquisire il suo enorme talento dopo aver stretto un patto con il diavolo. Da principio, non particolarmente capace di suonare la chitarra, viene indirizzato da House verso l'armonica, ma Johnson scompare (a seguito della morte di Virginia), e riappare un anno dopo nelle vesti di fenomeno della sei corde. E' francamente difficile capire come abbia fatto in così poco tempo a ottenere un simile miglioramento. Le credenze dell'epoca raccontano di un incontro tra il bluesman e un misterioso uomo in nero, che allo scoccare della mezzanotte gli propone lo scambio anima\talento chitarristico. In realtà, la tesi più realistica è che Johnson, perennemente vagabondo alla ricerca di se stesso e del vero padre, avesse nel mentre incontrato il misterioso "Bluesman" Ike Zinneman che ebbe a fargli da maestro. La stessa figura di Zinneman è velata da una patina di gotica credenza, in quanto si racconta di come amasse suonare nei cimiteri, tra le tombe, tanto che in molti vedevano in lui la personificazione del demonio. Altro aneddoto incredibile (frutto di fantasia?) narra di come Johnson fosse capace di riprodurre nota per nota la musica udita da una radio il giorno prima, udita in una stanza affollata e senza porvi la benché minima attenzione. Robert Johnson morì giovanissimo, il 16 agosto del '38, a Greenwood nel Mississippi, a 27, anni età infausta per altre future rockstar, e non poté che morire giovane, perché così era scritto, perché è così che si inabissa il genio e la sregolatezza, perché forse una morte "normale" non è dei grandi, o forse solo perché il suo modo di vivere non poteva avere epilogo diverso. Morì tragicamente nel mistero, forse avvelenato dal whiskey clandestino, forse barbaramente accoltellato da un marito geloso, convinto che il bluesman corteggiasse sua moglie. Agonizzò per alcuni giorni prima del decesso, si dice avesse utilizzato le sue ultime forze per scrivere una sorta di testamento, e una frase in particolare: "So che il mio Redentore vive e mi richiamerà dalla tomba". Greil Marcus, a proposito della morte, scrisse: "Morì nel mistero: qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera". Prima che il diavolo giungesse a reclamare la sua anima, Johnson ci donò, però, ventinove scrigni scintillanti contenenti la storia futura del rock, e dal punto di vista strettamente musicale e da quello narrativo/iconografico. Riuscì a registrarle grazie all'aiuto di un negoziante di dischi di Jackson, tale H.C. Speirs, il quale ebbe il merito di presentarlo a Ernie Oertle, scopritore di talenti per la Arc. Ernie Ortle e Robert Johson composero la maggior parte del materiale in appena cinque giorni a San Antonio, verso la fine di novembre del '36, all'interno del Blue Bonnet Hotel o del Gunter Hotel (anche su questo ci sono ricostruzioni storiche discordanti). In questa prima trance videro la luce 16 canzoni: "Kindhearted Woman Blues", "I Believe I'll Dust My Broom", "Sweet Home Chicago", "Rambling On My Mind", "When You Got a Good Friend", "Come On In My Kitchen", "Terraplane Blues", "Phonograph Blues", "32-20 Blues", "They're Red Hot", "Dead Shrimp Blues", "Cross Road Blues", "Walking Blues", "Last Fair Deal Gone Down", "Preaching Blues (Up Jumped the Devil)", e "If I Had Possession Over Judgment Day". Finite le registrazioni, Johnson tornò nel Mississipi, per poi registrare a Dallas, nel giugno del '37 i restanti pezzi, tra cui "Hellhound On My Trail", "Drunken Hearted Man", "Me And The Devil Blues". Ventinove canzoni con la c maiuscola, che segnano un'evoluzione rispetto alle soluzioni dei bluesman pre-bellici del periodo, nella veste di un suono vibrante e dinamico, che si esplica nella capacità di Johnson di supplire con la sola chitarra all'assenza di strumenti ritmici. La chitarra è ritmica e solistica allo stesso tempo. Veri e propri rock'n'roll ante litteram sono, ad esempio, le esplosive "Preaching Blues" e "32-20 Bles, They're Red Hot", la più compassata "Walking Blues" e la bellissima "Stones In My Passway". Altrove Johnson ha letteralmente inventato il blues-rock moderno post-bellico, come nella celeberrima "Sweet home Chicago".

In alcuni pezzi, compie un'operazione di completa disintegrazione dell'armonia e del ritmo (della forma-canzone quindi), in un continuo alternarsi e rincorrersi di accordi e mugolii. A volte il bluesman non canta, ma mormora, come se stesse narrando a se stesso l'immane solitudine. Esemplificativa è, in questo senso, "Come In My Kitchen", che suona a-musicale, anche per il monotono soliloquio di Johnson. Alcune testimonianze raccontano addirittura di un piccolo complessino rock'n'roll che Johnson mise in piedi appena prima di morire, con batteria e strumentazione elettrica (pick-up elettrico per la chitarra), ma su questo non c'è alcuna certezza. La musica di Robert Johnson è un unico lancinante calvario verso l'inferno dell'anima. Egli canta di un mondo senza salvezza, senza possibilità di redenzione, dove i peccati sono il prezzo da pagare alla prepotente sete di soddisfare le intime pulsioni umane. La sua musica è un'affascinante ricerca del senso della vita, del perché l'uomo desideri più di quello che ha, degli istinti che muovono l'individuo a tradire, uccidere, mercificare se stesso. La soddisfazione per Johnson non risiede nell'ottenere queste riposte (impossibile), ma nel vagare e lottare per ricercarle. I significati e l'immaginario da cui il bluesman attinge e che rielabora e ripropone sono quelli dell'America grande paese, depositario delle mille occasioni, patria delle infinite possibilità; la non realizzazione personale è allora non solo sconfitta individuale, ma vanificazione delle speranze collettive condivise, tradimento dello spirito della nazione, una bandiera a mezz'asta che celebra il funerale dell'American Dream. Il tessuto iconografico di Johnson si nutre della sconfitta dell'emarginazione, della disperazione dei diseredati, di chi è materialmente impedito a realizzare i propri sogni. L'immagine del demonio è una costante ossessiva nella sua musica, come in "Me And The Devil Blues": "Early this moring/ When you knocked upon my door/ I said, Hello, Satan/ I believe it's time to go" ("Questa mattina presto/ quando hai bussato alla mia porta/ ho detto: "Buon giorno, Satana/ credo sia ora di andare"). La presenza del diavolo nelle canzoni dei bluesman del delta e di Johnson, in particolare, può essere decodificata servendosi di una duplice chiave interpretativa: una è quella della sfera personale relativa ai comportamenti e alle azioni. Johnson, bevitore donnaiolo e amante del sesso fine a se stesso, incontra il peccato e se ne lascia dominare, conosce quindi il diavolo che di peccare gli offre la possibilità e che nel peccato si incarna. Trasgressore incallito, viene più volte a patti, ne ha paura, perché è consapevole della sua potenza distruttrice, della sua capacità di offrire soddisfazione immediata, ma dannazione eterna. Sa che per ogni peccato compiuto il demonio reclamerà un pezzo d'anima. Il secondo livello interpretativo si serve della visione del tessuto sociale dell'America puritana di inizio Novecento, dove predicatori e comunità religiose costruiscono le fondamenta del proprio vivere quotidiano sui dettami di Dio, del lavoro, del rispetto per il prossimo, ma anche sulla negazione della diversità. Comunità che della minaccia del peccato, del demonio che lo offre e della dannazione eterna che dall'accettazione ne deriva, hanno fatto strumento di controllo sociale, potente calmiere più di una qualsivoglia punizione corporale. Tra le pieghe di questa rigida visione, si insinuano le contraddizioni e le tensioni più acute, derivanti dal forte contrasto tra l'impegno formale a vivere secondo i dettami della religione (Dio) e la realtà fatta di tentazioni, trasgressioni e colpe (Satana). Anche di questo canta Johnson nei suoi salmi apocrifi, rendendo viva questa contraddizione, ergendosi a narratore ed esempio negativo, abbagliante demone personificazione del peccato e della superstizione. Testimonianza dello stato di cose nell'America rurale di fine 800 e inizio 900 è lo splendido "And The Ass Saw The Angel" di Nick Cave (per rimanere in ambito esclusivamente musicale), dove il bardo di Melbourne rende visibili tra sangue e polvere l'esplodere di queste contraddizioni, tra suicidi ed esecuzioni sommarie, predicatori invasati e vendette dell'Eterno. Particolarmente vibrante è la parte in cui Cave racconta della punizione che gli abitanti della comunità riservano a Cosey Mo, prostituta dichiarata, che vive ai margini del villaggio e della grazia di Dio. Una furia cieca si abbatte su di lei, aizzata da chi della ragione e della fede si fa ipocritamente depositario, ma che ha scheletri nell'armadio e peccati ben più gravi da espiare. Il confine tra bene e male, tra redenzione e dannazione, è toccato da Johnson in "Cross Road Blues". Qui il crocevia può essere inteso come punto di snodo della vita di un uomo, tra le tentazioni peccaminose e autodistruttrici sempre in agguato, e la volontà, spesso flebile, di farvi fronte e abbracciare la strada maestra del riscatto:

I went to the crossroads, fell down on my knees Asked the Lord above, have mercy,

Save your poor Bob if you please.

Hmm, standing at the crossroads, I tried to flag a ride

Standing at the crossroads, I tried to flag a ride

Ain't nobody seems to know me, everybody pass me by.

Hmm, the sun goin' down boys, dark gon' catch me here,

Eeeeh, dark gon' catch me here,

I' haven't got no lovin' sweet woman

that loves and feels my care.

You can run, you can run tell my friend poor Willie Brown

You can run tell my friend poor Willie Brown

Lord, that I'm standin' at the crossroads,

I believe I'm sinking down

("Sono andato al crocevia, sono caduto in ginocchio/ ho chiesto al Signore lassù, abbi pietà, risparmia il povero Bob, ti prego./ Me ne stavo al crocevia, cercavo qualcuno che mi desse un passaggio/ sembra che nessuno mi riconosca, tutti mi passano davanti./ Il sole sta calando, gente, il buio mi sorprenderà qui/ senza una dolce donnina piena d'amore che comprenda la mia angoscia./ Puoi correre a dire al mio amico, il povero Willie Brown/ che me ne sto al crocevia, credo che non resisterò a lungo").

In "Cross Road Blues" confluiscono tutti i temi della poetica dell'artista, Dio, a cui Johnson chiede aiuto e pietà per i peccati commessi, ma per tentare un'ultima carta più che per vera fede , il buio, metafora di Satana che inesorabilmente sta giungendo a reclamare la sua anima, e nel crocevia, nell'amletico dubbio tra la redenzione e la salvazione, la volontà di avere una donna vicino a sé, o meglio "una donnina piena d'amore", che gli allevi la pene dell'animo prima della dipartita. Pur avendone timore, Robert Johnson era in buoni rapporti con il diavolo, perché era consapevole di essere perduto, e ne era addirittura l'incarnazione nei rapporti con l'altro sesso. Possedeva un fascino incredibile; si presentava nei locali con la sua musica vibrante, con le sue storie allucinate, e riusciva a conquistare i cuori delle donzelle ammaliate dal suo stile di vita, così antitetico rispetto alla monotonia del quotidiano, come canta in "Stop Breakin' Down Blues": "Stuff I got'll bust our brain out baby/ It'll make you lose your mind" ("La roba che ho ti farà scoppiare il cervello bambina/ ti farà perdere la testa"). Le donne in cui si imbatteva durante il suo errare altro non erano che oggetti pornografici da usare e immortalare nelle proprie composizioni. Johnson viveva nel presente, accarezzava il passato, ma era consapevole di non avere futuro, e in questa mefistofelica visione, l'idea della donna non poteva che coincidere con quella di amante nel senso fisico del termine, dove il romanticismo è solo di facciata e nasconde l'implicito invito, come in "Hellhound On My Trail":

If today was Cristmas Eve, If today was Cristmas Eve

And tomorrow was Christmans day

If today was Cristmas Eve, If today was Cristmas Eve

And tomorrow was Christmans day

Aw, wouldn't we have a time, baby?

("Se oggi fosse la sera di natale, se oggi fosse la sera di natale

E domani il giorno di natale

Se oggi fosse la sera di natale

E domani il giorno di natale

Non ci divertiremmo un po', bambina?")

O, al massimo, donne come immagine di un desiderio di normalità, subito represso dalle necessità del vivere vagabondando, del trovare una nuova storia in ogni porto, come in "From Four Till Late":

When I leave this town

I'm gonna bid your fair, farewell

When I leave this town

I'm gonna bid your fair, farewell

And when I return Again

You'll have a great long story to tell

("Quando lascerò questa città

Ti dirò addio, addio

Quando lascerò questa città

Ti dirò addio, addio

E quando tornerò ancora

Avrai una lunghissima storia da raccontarmi")

Il concetto di donna come oggetto sessuale, come semplice mezzo per la soddisfazione dei propri istinti, si completa con la concezione di donna come angelo/diavolo, che è espressa in pezzi come "Kindhearted Woman Blues" e "Drunked Hearted Man":

"Kindhearted Woman Blues":

I got a kindhearted woman, do anything in this world for me.

I got a kindhearted woman, do anything in this world for me.

But evil-hearted women, man, they will not let me be.

I love my baby, my baby don't love me.

I love my baby, ooh, my baby don't love me

("Io ho un cuore buono donna, qualcosa in questo mondo per me.

Io ho un cuore buono donna, qualcosa in questo mondo per me..

Ma queste donne dal cuore malvagio, uomo, loro non mi lasceranno.

Io amo la mia bambina, la mia bambina non ama me.

Io amo la mia bambina, ooh, la mia bambina non ama me")

"Drunked Hearted Man":

I'm a poor drunken hearted man and sin was the cause of it all.

But the day you get weak for no good women,that's the day that you surely fall

("Io sono un povero uomo dal cuore ubriaco e il peccato fu la causa di tutto esso.

Ma il giorno che tu diventerai debole per una non buona donna, quello sarà il giorno che tu sicuramente cadrai")

L'affresco morale che Johnson costruisce della donna è terribile, quanto più sembra essere mediato dall'esperienza diretta del personaggio. Il bluesman perde presto sua moglie e inizia il suo errare alla ricerca di se stesso; sulla via della perdizione, ha probabilmente modo di esperire un solo tipo di donna: quella facile e disponibile a concedersi anche per una sola sera. Quel tipo diventa rappresentativo di tutto l'universo femminile, in una fusione distorta di sesso facile, mariti traditi, "donne cattive", donne che giocano coi sentimenti degli uomini di buon cuore. In questo caso, Johnson si erge nella doppia veste di diavolo tentatore e narratore disilluso. La sua opera è l'equivalente del "Cuore di Tenebra" di Conrad, un viaggio dei meandri nascosti dell'animo umano, dove le pulsioni più abominevoli sono spesso sedate dalla coercizzante incombenza delle regole sociali. Ma Johnson libera se stesso e l'ascoltatore, racconta, lascia intendere, affresca plumbee visioni, spesso disegna solo i contorni, è consapevole che per quanto si lotti per la felicità (normalità), spesso è sufficiente un episodio a liberare il demone nero insito in ogni essere umano, figlio degli atavici istinti dell'uomo/animale e delle sofferenze e dei dolori che fornisce il quotidiano. Ed egli era la testimonianza vivente di questa visione, un autentico peccatore impenitente, che dalla reiterazione coatta del peccato traeva convinzione dell'esistenza di una forza che va oltre la logica, una forza capace di impadronirsi dell'anima e disporne a proprio piacimento, di annullare il volere raziocinante. La presenza del demonio nelle sue canzoni più terrificanti è proprio la concettualizzazione dell'agire trascendente di questa forza, cosicché la musica di Johnson ha una portata simbolica universale, che va oltre l'immaginifica iconografia dell'America rurale di inizio Novecento e dei suoi personaggi. Il rock è la musica del demonio, ed è vero, o almeno è vero nella misura in cui riesce a essere non elemento attraverso in cui esso (la forza distruttrice) si manifesterebbe (visione a cui è intimamente legato l'immaginario superficiale ed estetizzante del rock'n'roll), ma nella misura in cui si pone come fattore catartico, rispetto a un'interiorità repressa da un vivere quotidiano non in linea con le proprie sensibilità, dell'essere diversi in una società in cui i comportamenti necessitano di uno standard codificabile, al fine della convivenza civile. Johnson cantava del diavolo perché intendeva esorcizzarne la potenza distruttrice, perché attraverso il racconto del peccato riusciva a esteriorizzarne gli effetti, a far sì che la sofferenza morale si trasformasse in energia rigeneratrice. Il peccato autoalimentava la musica e il suo essere, per cui ne era imprigionato malgrado tutto, ma, nell'incontrovertibile reiterazione, aveva pur la necessità di deviarne gli effetti. Niente da dire: con la triade donna (sesso), alcol (droga), blues (rock'n'roll), con la sagoma minacciosa del demonio sullo sfondo, Johnson ha letteralmente costruito l'immaginario del rock, ma il beat irrefrenabile della sua musica, la voce coinvolgente, i sentimenti che sgorgano liquidi da quelle parole, fanno sì che la fruizione delle sue canzoni, da puro ascolto esegetico/accademico, da fascinazione per l'America che fu, si trasformi in sentire interessato ed emozionante, in note che toccano il profondo. Perché questo è il blues; esso nasce dal connubio simbiotico di arte e vita, come espressione di un sentimento, come fulgida esteriorizzazione dell'io nascosto, represso e violentato dalle necessità materiali; è la perfetta fusione di anima e corpo, tra l'interiorità e i significati che nasconde, e il significante, che si materializza nelle note di una chitarra che gemono e veicolano dolore. Ecco perché chi successivamente ne ha ricalcato la tecnica senza aver nulla da raccontare, senza un fuoco da estrinsecare, ha composto una musica mirabilmente vuota, un simulacro dalle fattezze fredde e inanimate, un significante che trasporta la sua ombra in un circolo vizioso/virtuoso di scale e accordi reiterati, di prurigini tecnicistiche che rimandano a se stesse, non al caldo desiderio dell'anima di farsi corpo. Proprio questo è invece Robert Johnson, questo è il blues e perciò se ne intravede il fantasma anche in musiche che non lo chiamano in causa in modo diretto. Questo è Robert Johnson, questo è il blues, e artisti come Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jeffrey Lee Pearce, Ian Curtis, Nick Cave, Simon Bonney, Kurt Cobain, Layne Staley, tra gli altri, godranno di gloria imperitura perché ne incarnano lo spirito, al di là delle opinioni critiche dei mille esegeti buontemponi di turno. La musica di Robert Johnson è la musica del peccato. Sublime.

Fonti:

http://www.croponline.org/analisizombie.htm

http://www.bluesiana.it/voodoo2.asp

http://www.ondarock.it/songwriter/robertjohnson.htm

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